Notificazione su alcune pubblicazione del Prof. Dr. REINHARD MESSNER

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30 novembre 2000
Come risulta dalla seguente “Notificazione”, la Congregazione per la Dottrina della Fede, in conformità con il suo Regolamento per l’esame delle dottrine, ha esaminato alcune opere del Professor Dr. Reinhad Meßner (Innsbruck/Austria), che trattano aspetti fondamentali della fede e della vita sacramentale della Chiesa. La procedura d’esame si conclude ufficialmente con la pubblicazione di questa “Notificazione”, che è stata prima presentata al Professor Meßner e da lui accettata. Con la firma del testo l’autore si è impegnato per il futuro ad attenersi ai chiarimenti contenuti nella “Notificazione”. Essi saranno criterio vincolante per la sua attività teologica e per le sue future pubblicazioni teologiche.

 


Come risulta dalla seguente “Notificazione”, la Congregazione per la Dottrina della Fede, in conformità con il suo Regolamento per l’esame delle dottrine, ha esaminato alcune opere del Professor Dr. Reinhad Meßner (Innsbruck/Austria), che trattano aspetti fondamentali della fede e della vita sacramentale della Chiesa.
La procedura d’esame si conclude ufficialmente con la pubblicazione di questa “Notificazione”, che è stata prima presentata al Professor Meßner e da lui accettata.
Con la firma del testo l’autore si è impegnato per il futuro ad attenersi ai chiarimenti contenuti nella “Notificazione”.
Essi saranno criterio vincolante per la sua attività teologica e per le sue future pubblicazioni teologiche.


INTRODUZIONE


Il Professor Dr. Reinhard Meßner affronta nelle sue pubblicazioni, soprattutto nella sua dissertazione “Die Meßreform Martin Luthers und die Eucharistie der Alten Kirche. Ein Beitrag zu einer systematischen Liturgiewissenschaft” (Innsbruck-Wien 1989), difficili problemi di teologia fondamentale, come ad esempio il rapporto fra interpretazione della Scrittura e metodo storico-critico, fra Scrittura e Tradizione, fra Magistero e suo oggetto, fra liturgia e dogma.
Questi problemi, a cui nel tempo della Riforma si diedero risposte contrastanti che furono fra le cause essenziali della divisione ecclesiale, devono oggi di fatto essere ripensati in considerazione delle nuove importanti acquisizioni di carattere sia metodologico che contenutistico, non ultimo però alla luce delle opzioni del Concilio Vaticano II.
La discussione teologica, che comporta sia possibilità di migliore comprensione fra le diverse confessioni, come anche pericoli di nuovi malintesi, è in pieno corso e può solo essere incoraggiata dal Magistero della Chiesa cattolica.
Molte questioni sono ancora aperte e necessitano di un ulteriore ed attento esame per raggiungere le necessarie chiarificazioni. Lo scritto summenzionato di Meßner offre al riguardo valide stimolazioni, che devono essere valutate come un contributo positivo alla discussione in atto.


Poiché le spiegazioni dell’autore toccano i fondamenti della fede e della vita sacramentale della Chiesa, emerge in punti essenziali la domanda se questi fondamenti, che antecedono la teologia e la sostengono, sono veramente salvaguardati.
Poiché l’autore – in modo totalmente giustificato – propone le sue riflessioni con una terminologia desunta dal pensiero storico moderno, è difficile il confronto con gli insegnamenti della Chiesa espressi nel linguaggio classico della Tradizione.
Ma, anche tenendo conto dei problemi linguistici e del necessario sviluppo del pensiero teologico, rimane il fatto che insegnamenti di fede della Chiesa vengono in realtà almeno oscurati e vengono fatte scelte che solo apparentemente derivano da opinioni storiche, ma in realtà si fondano su presupposti che sono problematici e nelle loro conseguenze fanno deviare dalla fede cattolica.


Ciò riguarda innanzitutto il rapporto fra Scrittura, Tradizione, interpretazione magisteriale della fede ed esegesi storico-critica. L’autore è ben consapevole della problematica della “sola scriptura”, come fu formulata nel tempo della Riforma.
Egli riconosce che la “Tradizione è più antica della Scrittura e la Scrittura è parte della Tradizione” (pag. 13).
Ma è allo stesso tempo convinto che ogni autentica tradizione apostolica è raccolta nella Scrittura e che pertanto la Scrittura è in quanto “norma indiscutibile… istanza critica di ogni ulteriore Tradizione” (pag. 14). “La Tradizione è così la realizzazione espressa in modo sempre nuovo del kerigma, che si trova in una forma valida una volta per tutte nella Scrittura” (pag. 16).
Sul presupposto di questa riduzione della Tradizione alla ripresentazione kerigmatica della Scrittura “nei presupposti culturali e nelle condizioni di vita del momento” (pag. 14) è del tutto consequenziale, l’affermazione che: “Il principio della “sola scriptura” come elemento costitutivo inalienabile di ciò che caratterizza la Riforma mi sembra garantito nella concezione delineata” (pag. 14).
Esso sembra di fatto garantito, anche se non “sembra” garantita la dottrina del Concilio di Trento e del Vaticano II (Dei verbum) su Scrittura e Tradizione.
Meßner stesso è consapevole del pericolo che la fede possa essere esposta “alla situazione della scienza teologica del momento” (pag. 15) e che questo debba essere evitato.
In realtà però la sua concezione conduce inevitabilmente proprio a questo risultato, perché per l’interpretazione della Scrittura non resta alla fine altra istanza se non l’esegesi scientifica.
Egli stesso afferma al riguardo: “In casi di conflitto è indubbiamente sempre la Tradizione ovvero la teologia che deve essere corretta a partire dalla Scrittura, non la Scrittura che deve essere interpretata alla luce di una tradizione successiva (o di una decisione magisteriale); ciò condurrebbe ad un dannoso dogmatismo” (pag. 16).
Colpisce qui che per mezzo della copula “ovvero” Tradizione e teologia vengono equiparate o in ogni caso poste sullo stesso piano; la Tradizione è menzionata solo come “tradizione posteriore” e la “decisione magisteriale” viene a sua volta per mezzo di una “o” posta su di uno stesso livello con le “tradizioni posteriori”, così che l’obbedienza nei confronti di queste così come l’ascolto della Tradizione condurrebbe ad un dannoso dogmatismo.
Non si vede come, in questa concezione della Tradizione e del Magistero, la Scrittura possa essere istanza critica se non per mezzo dell’esegesi scientifica, che in tal modo viene elevata ad ultima autorità – contro la dichiarata intenzione dell’autore.
La medesima problematica appare in riferimento alla liturgia, quando Meßner pone quale principio metodologico fondamentale: “La Tradizione dogmatica (che concerne la liturgia) deve quindi essere interpretata alla luce della tradizione liturgica e non viceversa” (pag. 12).
Il motivo di questa affermazione appare nella frase precedente, laddove la Tradizione dogmatica viene designata come “tradizione dogmatica secondaria”. Liturgia e fede appaiono qui come due mondi totalmente autonomi, che non si toccano, la Tradizione liturgica e quella dogmatica come due tradizioni indipendenti l’una dall’altra; dietro la “tradizione secondaria” non emerge più nessuna tradizione portante comune della fede, così che la Tradizione esiste solo in “tradizioni”, che come tali sono per loro essenza secondarie.


Le conseguenze di questo modo di vedere la Scrittura, la Tradizione ed il Magistero divengono manifeste nelle questioni fondamentali della fede eucaristica.
Che la Tradizione non possa garantire niente dal punto di vista del contenuto e che pertanto ci lascia alle ipotesi storiche del momento, diviene visibile quando Meßner a proposito dell’origine dell’Eucaristia afferma: “Ciò che ci è tramandato rispecchia ultimamente la prassi catechetica delle comunità. Non è quindi possibile dedurne una teologia dell’Eucaristia a partire da una assoluta volontà istitutiva di Gesù, che poi norma ogni tradizione liturgica” (pag. 17).
Che cosa Gesù stesso veramente voleva quindi non lo sappiamo e, secondo questa ricostruzione, non possiamo fare riferimento ad un’istituzione dell’Eucaristia da parte di Gesù.
Meßner si rifà pertanto per i primi tempi della Chiesa, anche se con lievi modifiche, alla nota tesi di H. Lietzmann (Messe und Herrenmahl. 1926) e ritiene di poter stabilire per questo periodo due diversi tipi di “Eucaristia”: da una parte “pasti orientati prevalentemente in senso escatologico” (come in Didache 9 e 10) e “una celebrazione liturgica, che si ricollega essenzialmente all’ultima cena di Gesù” (pag. 27).
Egli dice esplicitamente che “dallo “spezzare del pane” del cristianesimo primitivo nessuna linea diretta conduce alla nostra celebrazione eucaristica” (pag. 32).
Nondimeno egli vede due legami fra la “Cena del Signore” del cristianesimo primitivo e l’Eucaristia della Chiesa cattolica: “l’orientamento escatologico… e la comunione (Koinonia)…” (pag. 33). Soltanto questo si potrebbe pertanto considerare come nucleo essenziale dell’”Eucaristia” risalente al tempo primitivo.


Da tali presupposti – oggi largamente diffusi – appare visibile che la nuova formulazione del principio della “sola scriptura” non garantisce la normatività della Scrittura, che parla esplicitamente nei quattro racconti tramandati dell’istituzione del fatto che il Signore, nella notte in cui fu tradito, consegnò ai suoi se stesso – corpo e sangue – nel pane e nel vino, e in questi doni fondò la nuova alleanza.
Le ipotesi sull’origine dei testi paralizzano la parola biblica come tale.
Viceversa appare evidente che la Tradizione nel suo senso definito dalla Chiesa non significa manipolazione della Scrittura per mezzo di insegnamenti e di usi successivi ma al contrario rappresenta la garanzia perché la parola della Scrittura possa conservare la sua pretesa.


Meßner individua poi, nel secondo secolo, una “profonda cesura”, il “passaggio dal cristianesimo fondamentalmente carismatico, profetico, determinato sostanzialmente dall’attesa escatologica imminente alla “Chiesa del cattolicesimo incipiente”” (pag. 17).
In questo momento avviene secondo Meßner un “cambiamento di paradigma dal paradigma “Cena del Signore” del cristianesimo primitivo al paradigma “Messa” del cristianesimo maturo” (pag. 42).
Con il tramontare dell’attesa escatologica imminente, nella metà del secondo secolo nasce qualcosa di nuovo –così ci spiega Meßner–, vale a dire la Chiesa del cattolicesimo incipiente, i cui contenuti essenziali vengono così descritti: “Si forma lentamente il canone del Nuovo Testamento, emerge un ministero ecclesiale, che in questa forma non caratterizzava il cristianesimo primitivo, per la conservazione della tradizione apostolica, e cambia la comprensione della liturgia” (pag. 42).
Queste tesi non sono nuove, anche se con la sottolineatura del “cambiamento di paradigma” liturgico si differenziano in modo caratterizzante dalla descrizione classica degli elementi costitutivi del “Frühkatholizismus” fatta da Harnack, il quale metteva insieme regula fidei, Canone ed episcopato.
Nuovo è comunque il fatto che questa classica visione del modo protestantico di scrivere la storia dei dogmi viene qui presentata come teologia cattolica e collegata con una profonda rottura nel cuore sacramentale della Chiesa, che comporta non solo la trasformazione della Cena del Signore in Messa, ma – a questa collegata – il formarsi dell’ufficio sacerdotale (episcopale) come elemento fondamentale della nuova forma di “Eucaristia”.
Sebbene Meßner parta da una chiara rottura nella storia fra fede e liturgia, non intende tuttavia considerare il nuovo come tradimento della testimonianza biblica (pag. 43ss), ma gli riconosce – così come esso appare per la prima volta in Ippolito – una certa normatività, alla quale egli poi commisura gli sviluppi del Medioevo, il Concilio di Trento e la Teologia di Lutero.
Che egli in questo contesto possa giudicare il medioevo e Trento sostanzialmente solo come malinteso e decadenza, non deve sorprendere.
Una portata molto più profonda ha la tesi della doppia rottura nella storia della fede, che viene qui proposta: fra Gesù e la Chiesa primitiva carismatica innanzitutto, fra questa e la Chiesa del cattolicesimo incipiente successivamente.


La tesi di abilitazione di R. Meßner “Feiern der Umkehr und Versöhnung” (in: Gottesdienst der Kirche. Handbuch der Liturgiewissenschaft. Edito da H. B. Meyer e altri, Teil 7,2: R. Meßner – R. Kaczynski, Sakramentliche Feiern I/2. Regensburg 1992, pagg. 49-240) non entra di nuovo nella discussione dei problemi fondamentali, ma parte dagli stessi presupposti metodologici.
L’opera, che offre senza dubbio riflessioni degne di attenzione sullo sviluppo della storia della penitenza, solleva però a sua volta in modo analogo nei confronti dell’istituzione del sacramento da parte di Cristo, del ministro del sacramento e della sua distinzione da forme non sacramentali del perdono, dei gravi problemi, che toccano la fede della Chiesa come tale al di là dell’ambito della discussione teologica.


Nel gennaio 1998 la Congregazione per la Dottrina della Fede, a motivo della serietà dei problemi qui presenti, ha esaminato secondo la sua Agendi ratio in doctrinarum examine (1997) la problematica di entrambe le suddette opere dell’autore e, conformemente alla sua responsabilità, ha presentato il 26 settembre 1998 al prof. Meßner, tramite il Vescovo di Innsbruck, Dr. Alois Kothgasser, alcune osservazioni critiche alle sue dissertazioni.
Il professor Meßner in data 13 novembre 1998 ha risposto a questo scritto della Congregazione e ha trasmesso una serie di ampie chiarificazioni, che nondimeno non risultavano sufficienti, a risolvere i problemi nella loro totalità.
La Congregazione pertanto in data 12 agosto 1999 ha fatto presenti gli interrogativi che rimanevano, ai quali il professor Meßner ha risposto il 3 novembre 1999.
Anche la seconda risposta conteneva dei miglioramenti e dei chiarimenti, ma non risolveva totalmente le questioni riguardanti le opzioni fondamentali del suo libro in relazione all’insegnamento di fede della Chiesa.
Al riguardo la Congregazione per la Dottrina della Fede non considera come suo compito entrare nelle discussioni di carattere storico e di teologia sistematica, che si trovano in entrambi i libri.
Essa pertanto non intende neppure proporre una interpretazione conclusiva di queste opere.
Lasciando aperte evidentemente le questioni puramente teologiche, essa considera tuttavia suo dovere richiamare in modo inequivocabile le dottrine di fede, che devono essere tenute ferme in queste discussioni, se una teologia deve essere considerata come “cattolica”.
In considerazione dei problemi degli scritti, queste dottrine di fede vengono qui proposte all’accettazione dell’autore.
Esse costituiscono il criterio vincolante per il miglioramento e la chiarificazione delle singole affermazioni dei suoi libri e per le sue future pubblicazioni in questa materia.


 


I
LE FONTI DELLA FEDE



La trasmissione della predicazione apostolica


1. L’insieme della trasmissione della rivelazione ricevuta dagli apostoli nella Chiesa può essere designata Tradizione in senso largo, o –come dice l’autore– “l’unico evento di tradizione”.


2. Questa trasmissione avviene in due forme, l’una, scritta, è la Sacra Scrittura, l’altra, non scritta, è la Tradizione in senso stretto. Infatti la predicazione apostolica confluisce in modo particolare nella Sacra Scrittura (1), ma non si esaurisce in essa. Perciò il concetto di Tradizione apostolica, che sotto l’assistenza dello Spirito Santo viene trasmessa nella Chiesa, è più ampio di ciò che è messo per iscritto esplicitamente nella Scrittura (2) Predicazione apostolica e tradizione, che deriva dagli apostoli, non possono essere semplicemente equiparate.


La Sacra Scrittura e le sue affermazioni


3. La Sacra Scrittura è fonte di conoscenza per la fede cattolica, secondo il senso e l’intenzione salvifica, che sono stati messi per iscritto nel testo odierno dallo Spirito Santo per mezzo dell’autore umano (3).


La Tradizione e le tradizioni


4. Accanto alla Scrittura sta la Tradizione in senso stretto. Essa ci fa conoscere l’ispirazione ed il canone della Scrittura, e senza di essa non è possibile una spiegazione completa ed una attualizzazione della Scrittura (4). La fede cattolica non è desunta solo dal testo della Scrittura; la Chiesa infatti non attinge la sua certezza su tutte le cose rivelate soltanto dalla Scrittura (5).


5. La Tradizione è la trasmissione della rivelazione, che è stata affidata da Cristo e dallo Spirito Santo agli apostoli, nella vita e nell’insegnamento della Chiesa cattolica attraverso tutte le generazioni fino ad oggi (6). Solo questa Tradizione è norma di fede.


6. Le “tradizioni”, delle quali parlano il Concilio Vaticano I (7) ed anche “Dei verbum” (Nr. 8), sono elementi particolari della “Tradizione” (8). Accanto a queste nella Chiesa cattolica sono sempre esistite usanze antiche (“tradizioni” nel senso più vasto), che non sono vincolanti, ma mutabili.


Il Magistero


7. Nell’interpretazione della Parola di Dio, trasmessa nella Scrittura e nella Tradizione, un ruolo importante compete alla scienza teologica. Supera le possibilità della teologia spiegare la Parola di Dio in modo vincolante per la fede e la vita della Chiesa. Questo compito è affidato al Magistero vivente della Chiesa (9). Il Magistero non è al di sopra della Parola di Dio, ma la serve. Esso però è al di sopra delle spiegazioni della Parola di Dio, in quanto giudica se una tale spiegazione corrisponde o meno al senso tramandato della Parola di Dio (10).


La Liturgia


8. Nella Liturgia si attua l’opera della nostra redenzione (11). Essa è “il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la sua virtù” (12). Essa rende presente così il “mistero della fede” ed è allo stesso tempo la sua più alta testimonianza. I riti liturgici riconosciuti dalla Chiesa sono pertanto anche forme espressive normative della fede, nelle quali si manifesta la tradizione apostolica della Chiesa.


9. Fra le forme magisteriali della definizione della fede (Regula fidei, Symbolum, Dogma) e la loro attualizzazione nella liturgia non può pertanto esservi nessuna contraddizione. La fede definita è vincolante per ogni liturgia, per l’interpretazione e per nuove formulazioni della liturgia.


 


II
SULLA DOTTRINA DI FEDE CIRCA I SACRAMENTI


L’istituzione dell’Eucaristia


10. Secondo la fede della Chiesa Cristo ha istituito i sette sacramenti. Il concetto di istituzione non significa che Cristo nella sua vita terrena abbia espressamente determinato nei particolari ogni singolo sacramento come tale. La Chiesa nella sua memoria guidata dallo Spirito Santo, che poteva includere una maturazione anche di un certo tempo (13), ha compreso quali delle sue azioni simboliche sono ancorate nella volontà del Signore e pertanto appartengono alla essenza della sua missione. Essa ha così imparato a distinguere, nel vasto ambito dei sacramenta, i “sacramenti” in senso stretto dai sacramentali: solo i primi risalgono al Signore stesso e posseggono quindi quell’efficacia particolare, che deriva dall’istituzione (14).


11. La Chiesa è certa nella fede che Cristo stesso – come narrano i Vangeli (Mt 26, 26-29; Mc 14, 22-25; Lc 22, 15-20) e San Paolo per tradizione apostolica (1 Cor 11, 23-25) – nella cena prima della sua passione consegnò ai discepoli sotto le specie del pane e del vino il suo corpo ed il suo sangue ed istituì così l’Eucaristia, che veramente è il suo proprio dono alla Chiesa di tutti i tempi (15).


12. Non è quindi sufficiente supporre che Cristo nel cenacolo –come continuazione della sua comunione di mensa– abbia compiuto una azione conviviale simbolica analoga con prospettiva escatologica. È fede della Chiesa che Cristo nell’ultima cena ha offerto il suo corpo ed il suo sangue –se stesso– a suo Padre e ha dato se stesso da mangiare ai suoi discepoli sotto i segni del pane e del vino (16).


Il ministero nella Chiesa


13. Nella vocazione e nella missione dei dodici apostoli secondo la fede della Chiesa Cristo ha allo stesso tempo fondato il ministero della successione apostolica, che nella sua forma piena si realizza nei Vescovi come successori degli apostoli. Il ministero ordinato nel suo triplice grado –vescovo, presbitero, diacono– è una forma legittimamente sviluppatasi nella Chiesa e pertanto vincolante per la Chiesa stessa dello sviluppo del ministero della successione apostolica (17). Questo ministero che si fonda sulla volontà istitutiva del Signore viene trasmesso con la consacrazione sacramentale.


14. Il Concilio Vaticano II afferma: il sacerdote ministeriale “con la potestà sacra di cui è investito” compie il sacrificio eucaristico in persona di Cristo (18).


L’Eucaristia e la fede


15. Lo Spirito Santo per mezzo del sacerdote consacrato e le parole di Cristo da lui pronunciate rendono presenti il Signore ed il suo sacrificio (19).


Non per suo potere e non per un incarico umano, ad esempio da parte della comunità, ma solo in forza della potestà data dal Signore nel sacramento la preghiera del sacerdote può invocare efficacemente lo Spirito Santo e la sua forza trasformante. La Chiesa definisce questa azione orante del sacerdote una azione “in persona Christi” (20).


Il Sacramento della Penitenza e la Scrittura


16. La Chiesa nella fede sa e pertanto insegna in modo vincolante che Cristo oltre il sacramento del battesimo che rimette i peccati ha istituito il sacramento della Penitenza come sacramento del perdono. Questa consapevolezza si fonda sopratutto su Gv 20, 22s. Anche qui il sacerdote può parlare “in persona Christi” e comunicare autorevolmente il perdono solo a partire dal potere del sacramento, con il quale è stato consacrato (21).


 


Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nell’Udienza del 27 ottobre 2000 concessa al sottoscritto Segretario, ha approvato la presente Notificazione, decisa nella Sessione Ordinaria di questa Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione.


Roma, dalla Sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 30 novembre 2000.


 


+ Joseph Card. RATZINGER
Prefetto


+ Tarcisio Bertone, S.D.B.
Arcivescovo emerito di Vercelli
Segretario


 





 


NOTE


(1) “Itaque praedicatio apostolica, quae in inspiratis libris in speciali modo exprimitur…” (Concilio Vaticano II, Dei Verbum 8).


(2) “Haec quae est ab Apostolis Traditio sub assistentia Spiritus Sancti in Ecclesia proficit …” (Concilio Vaticano II, Dei Verbum 8).


(3) “Cum ergo omne id, quod auctores inspirati seu hagiographi asserunt, retineri debeat assertum a Spiritu Sancto, inde Scripturae libri veritatem, quam Deus nostrae salutis causa Litteris Sacris consignari voluit, firmiter, fideliter et sine errore docere profitendi sunt” (Concilio Vaticano II, Dei Verbum 11).


(4) “Per eandem Traditionem integer Sacrorum Librorum canon Ecclesiae innotescit, ipsaeque Sacrae Litterae in ea penitius intelliguntur et indesinenter actuosae redduntur” (Concilio Vaticano II, Dei Verbum 8).


(5) “…quo fit ut Ecclesia certitudinem suam de omnibus revelatis non per solam Sacram Scripturam hauriat” (Concilio Vaticano II, Dei Verbum 9.


(6) “… et sine scripto traditionibus, quae ab ipsius Christi ore ab Apostolis acce­pta­e, aut ab ipsis Apostolis Spiritu Sancto dictante quasi per manus traditae ad nos usque pervenerunt…” (Concilio di Trento: DS 1501; cfr anche Concilio Vati­cano I: DS 3006).


(7) “Haec porro supernaturalis revelatio… continetur “in libris scriptis et sine scripto traditionibus”…” (Concilio Vaticano I: DS 3006; così si devono intendere “traditiones” anche in Dei Verbum 8).
I Padri del Concilio di Trento erano ben consapevoli della differenza fra “Tradizione apostolica” e “tradizioni” della Chiesa. Essi avevano ben chiaro anche, ad es. nel Decreto sul Sacramento della Penitenza, che esse accanto a contenuti di fede rivelata, attinta alla Scrittura e alla Tradizione, presentavano anche altre convinzioni e usanze, che non derivavano dalla rivelazione. I Padri del Concilio hanno anche distinto fra “Tradizione” e usanze di fatto cattolico-romane. Storicamente non è neppure sostenibile che Trento si sia sempre e soltanto indirizzato contro presunte dottrine false dei Riformatori.


(8) Cfr. Concilio Vaticano II, Dei Verbum 7 – 10.


(9) “Munus autem authentice interpretandi verbum Dei scriptum vel traditum so­li vivo Ecclesiae Magisterio concreditum est, cuius auctoritas in nomine Iesu Chri­sti exercetur” (Concilio Vaticano II, Dei Verbum 10).


(10) “Quod quidem Magisterium non supra verbum Dei est, sed eidem ministrat, do­cens nonnisi quod traditum est, quatenus illud, ex divino mandato et Spiritu San­cto assistente, pie audit, sancte custodit et fideliter exponit, ac ea omnia ex hoc uno fidei deposito haurit, quae tamquam divinitus revelata credenda proponit…” (Concilio Vaticano II, Dei Verbum 10).


(11) Cfr Concilio Vaticano II, Sacrosanctum Concilium, 2.


(12) Sacrosanctum Concilium, 10.


(13) Cfr Concilio Vaticano II, Dei verbum 8.


(14) Cfr Concilio di Trento: DS 1601; Concilio Vaticano II, Sacrosanctum Con­ci­lium 60.


(15) Cfr Concilio di Trento: DS 1638, 1642.


(16) Cfr Concilio di Trento: DS 1637-1638; 1640; 1740-1741.


(17) “Christus, quem Pater sanctificavit et misit in mundum (Io. 10,36), consecratio­nis missionisque suae per Apostolos suos, eorum successores, videlicet Episcopos participes effecit, qui munus ministerii sui, vario gradu, variis subiectis in Eccle­sia legitime tradiderunt” (Concilio Vaticano II, Lumen g­en­tium 28).


(18) “Sacerdos quidem ministerialis, potestate sacra qua gaudet, …sacrificium eucha­risticum in persona Christi conficit” (Concilio Vaticano II, Lumen gentium 10).


(19) “In institutionis narratione vis verborum et actionis Christi, et Spiritus Sancti potentia, sub panis et vini speciebus Eius corpus et sanguinem sacramentaliter effi­ciunt praesentia, Eius sacrificium semel pro semper in cruce oblatum” (Catechi­smus Catholicae Ecclesiae, 1375).


(20) Cfr Concilio Vaticano II, Lumen gentium 10.


(21) Cfr Concilio di Trento: DS 1601, 1670, 1701.