Osservazioni sul libro “Moraltheologie im abseits?”

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2 febbraio 1996
A nessuno sfugge che contestare in linea di principio il ruolo del magistero della chiesa espresso in queste parole, come di fatto si rileva nel presente libro, non costituisce un problema semplicemente disciplinare, bensì intacca profondamente l’unità e l’identità della Parola sulla quale è fondata la chiesa.


CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE,
“Osservazioni sul libro
Moraltheologie im Abseits? Antwort auf die Enzyklika Veritatis splendor”,
2 febbraio 1996: L’Osservatore Romano, 2.2.1996, p. 3.



IL BENE DEI FEDELI rende doverosa la pubblicazione di alcune osservazioni sul libro Moraltheologie im Abseits? Antwort auf die Enzyklika “Veritatis splendor” (ed. Dietmar Mieth [Quaestiones disputatae, 153], Herder, Freiburg im Br.Basel-Wien 1994). Il volume contiene una breve prefazione dell’editore e 16 saggi, che toccano le principali questioni trattate dall’enciclica Veritatis splendor. La prefazione esprime in modo assai significativo l’impostazione generale dell’intero volume: alcuni teologi moralisti si sono sentiti chiamati in causa da un’enciclica che non sarebbe altro che il tentativo autoritario di imporre una posizione teologica di parte, allo scopo di mettere al bando alcuni risultati della teologia morale contemporanea. L’enciclica costituisce perciò una quaestio disputata, una tesi da discutere, alla quale il presente libro intende dare una risposta decisa e puntuale. Su questa linea critica si muove la maggior parte dei saggi del libro, anche se alcuni sembrano voler evitare lo scontro esplicito e contengono senza dubbio elementi validi.
L’accentuato criticismo di fondo si traduce in frequenti e pesanti giudizi sommari (cf. per esempio pp. 67-68, 70, 73, 77, 172, 278-284), che si estendono talvolta ad altri documenti del magistero della chiesa: si afferma ad esempio che “nessuna parola autorevole può chiudere la discussione” sul problema trattato dalla lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis, discussione che dovrà continuare anche sul piano pubblico, in quanto ormai non è più concepibile una chiesa costituita da “pastori e pecore”, nonostante sia questa una valida immagine biblica (cf. p. 23). 1 riferimenti addotti dalla Veritatis splendor circa la tradizione ecclesiale sarebbero inadeguati (cf. pp. 67-68); la sua fondazione biblica inconsistente e sostanzialmente falsa (cf. pp. 25-45); e l’intera enciclica sarebbe un “grandioso anacronismo” (p. 70), costruito con categorie filosofiche provenienti da un modello intellettuale oggettivistico ed essenzialistico (cf. p. 70, nota 3).
Inoltre, il tono usato da alcuni autori del libro non è solo offensivo per il magistero del successore di Pietro, ma anche per altri teologi cattolici che sostengono una posizione conforme alla dottrina affermata dalla Veritatis splendor.
Una delle critiche più ricorrenti è che la Veritatis splendor non ha capito le teorie morali criticate, le quali sarebbero presentate in modo distorto e persino caricaturale, e quindi vede errori dottrinali dove in realtà non esistono, anzi, quei presunti errori non sono stati mai sostenuti da nessuno. Il lettore ha l’impressione che questa critica costituisca l’asse portante dell’impianto dialettico del volume. Il problema è che, lasciati da parte generiche dichiarazioni di principio e spunti polemici, il libro non offre nessuna prova di quanto afferma. In nessuno dei saggi viene messa a confronto la descrizione di quelle teorie fornita dalla Veritatis splendor con i testi degli autori che dal 1970 in poi hanno scritto, per esempio, sull’autonomia teonoma, sulla morale autonoma in contesto cristiano, sul proporzionalismo o sull’opzione fondamentale. Se le critiche degli autori alla Veritatis splendor fossero vere, un confronto analitico e particolareggiato basterebbe a dimostrarlo. Ma tale confronto non solo non viene fatto, ma addirittura alcune questioni fondamentali vengono praticamente evase, consapevolmente o meno: il saggio sull’autonomia morale ne costituisce forse l’esempio più eloquente.
Tuttavia, il lettore stesso, dopo un’analisi personale, può convincersi come sono valide le critiche della Veritatis splendor a certe posizioni praticamente riaffermate nel libro. Il dissenso è radicale e riguarda la sostanza. Infatti, per diversi autori l’enciclica Veritatis splendor, come già più di venti anni fa l’Humanae vitae, è sostanzialmente un errore. La Veritatis splendor sbaglia non solo perché critica delle teorie morali che, a loro avviso, rispondono alla verità, ma soprattutto perché intende essere un pronunciamento magisteriale su una materia – la morale normativa – che di per sé non rientrerebbe nelle competenze del magistero della chiesa, dato che su di essa non esisterebbe un concreto insegnamento specifico nella Rivelazione né sarebbe esistita, almeno fino a questo momento, una dottrina cattolica definita. La morale dell’agire intramondano sarebbe, in definitiva, un ambito sul quale non può essere invocata altra autorevolezza che quella reperibile da ciascuno nelle motivazioni e nelle argomentazioni addotte. A questo titolo, e solo a questo titolo, tutti – magistero compreso – possono intervenire, e tutti magistero compreso – possono aver ragione e aver torto.
Seguendo questa impostazione fondamentale, si pensa di non dover riconoscere l’enciclica “Veritatis splendor” come espressione autentica del magistero della chiesa. Ovvero, non la si riconosce come esercizio legittimo del carisma di determinare autenticamente i contenuti della fede e della morale, carisma affidato da Cristo alla chiesa e da questa attuato con l’assistenza dello Spirito Santo. Conseguentemente alcuni autori sono convinti di poter rendere la “Veritatis splendor” oggetto di una “quaestio disputata”, e si sentono autorizzati a favorire il dissenso pubblico da un pronunciamento del magistero ordinario del romano pontefice. In questo modo si incorre in un comportamento teologicamente ed ecclesiologicamente scorretto (cf. Lumen gentium, n. 25), e allo stesso tempo viene confermata con i fatti l’esattezza della diagnosi e del discernimento dottrinale operato dalla Veritatis splendor, specialmente nei passi in cui essa spiega come un certo modo di concepire l’autonomia morale porta a “negare l’esistenza, nella rivelazione divina, di un contenuto morale specifico e determinato, universalmente valido e permanente”, e a misconoscere pertanto l’esistenza di “una competenza dottrinale specifica da parte della chiesa e del suo magistero circa norme morali determinate riguardanti il cosiddetto bene umano” (Veritatis splendor, n. 37). L’esplicito criticismo di alcuni contributi del libro risponde alla convinzione che le questioni morali non possono essere, ratione materiae, oggetto del magistero della chiesa, e vuole essere l’esplicita protesta da parte di coloro che vedono e vedranno in ogni insegnamento morale del magistero l’abusiva ingiunzione di una posizione teologica di parte.
Come ha ricordato recentemente Giovanni Paolo II, “per una comunità che si fonda essenzialmente sull’adesione condivisa alla parola di Dio e sulla conseguente certezza di vivere nella verità, l’autorità nella determinazione dei contenuti da credere e da professare è qualcosa a cui non si può rinunciare… Nelle encicliche Veritatis splendor ed Evangelium vitae, così come nella lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis, ho voluto riproporre la dottrina costante della fede della chiesa, con un atto di conferma di verità chiaramente attestate dalla Scrittura, dalla tradizione apostolica e dall’insegnamento unanime dei pastori. Tali dichiarazioni, in virtù dell’autorità trasmessa al successore di Pietro di “confermare i fratelli” (Lc 22,32), esprimono quindi la comune certezza presente nella vita e nell’insegnamento della chiesa” (Discorso alla sessione plenaria della Congregazione per la dottrina della fede, 24.11.1995, nn. 5-6, in L’Osservatore Romano, 25 novembre 1995, p. 6). A nessuno sfugge che contestare in linea di principio il ruolo del magistero della chiesa espresso in queste parole, come di fatto si rileva nel presente libro, non costituisce un problema semplicemente disciplinare, bensì intacca profondamente l’unità e l’identità della Parola sulla quale è fondata la chiesa.