Il potere del Papa e il matrimonio dei battezzati

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11 novembre 1998 
Questo testo, apparso sull’Osservatore Romano dell’11 novembre 1998, può essere attribuito alla Congregazione per la Dottrina della Fede essendo contrassegnato dal triplo asterisco come firma, indice della massima autorità

 


Il potere del Papa e il matrimonio dei battezzati


Questo testo, apparso sull’Osservatore Romano dell’11 novembre 1998, può essere attribuito alla Congregazione per la Dottrina della Fede essendo contrassegnato dal triplo asterisco come firma, indice della massima autorità


Seguendo fedelmente l’insegnamento evangelico ed apostolico (cfr Mt 5, 31; Mc 10, 11-12; Lc 16, 8; 1 Cor 7, 10-11), che ripristina e porta a perfezione l’originario disegno di Dio Creatore
(cfr Gn 1, 27; 2, 24; Mt 19, 3-9; Mc 10, 2-9), la Chiesa Cattolica ha sempre proclamato l’assoluta indissolubilità del sacramento del matrimonio. Essa ha riproposto lungo i secoli la stessa dottrina sia in diversi Concili Ecumenici (per esempio nei Concili di Firenze, di Trento e nel Vaticano II), sia attraverso il Magistero ordinario dei Romani Pontefici e dei Vescovi, sia infine per mezzo della sua costante e universale attività catechistica e missionaria.
L’introduzione del divorzio negli ordinamenti civili anche in paesi di lunga tradizione cristiana ha stimolato i Pastori e i fedeli a testimoniare con chiarezza e fermezza il valore dell’indissolubilità del matrimonio. Tuttavia si sono create tra i fedeli situazioni matrimoniali irregolari che sono state e sono ancora causa di profondo dolore. Nell’intento di venire incontro a tali situazioni si sono sviluppate, già da alcuni anni, proposte teologiche che, pur nel rispetto dell’indissolubilità intrinseca del matrimonio, ipotizzano sulla base di svariate argomentazioni la possibilità, in certi casi, di estendere la potestà vicaria del Romano Pontefice allo scioglimento del matrimonio consumato tra battezzati (“matrimonio rato e consumato”). Vale a dire, pur mantenendo il principio che il vincolo matrimoniale non può essere sciolto dalla volontà dei coniugi (“indissolubilità intrinseca”), si è prospettata l’idea che il Successore di Pietro avrebbe il potere di sciogliere il matrimonio consumato tra battezzati, qualora ciò fosse richiesto da una causa grave riguardante il bene dei fedeli.
Secondo alcuni autori, le nuove circostanze pastorali renderebbero legittima l’estensione al matrimonio rato e consumato della potestà che il Romano Pontefice esercita in alcuni casi sul
matrimonio consumato dei non battezzati (cfr CIC cann. 1143-1147 sul “privilegio paolino” e cann. 1148-1149 sul cosiddetto “privilegio petrino”) e sul matrimonio non consumato dei
battezzati (cfr CIC can. 1142). Secondo altri studiosi, si tratterebbe dell’applicazione a nuove fattispecie di una potestà giuridica di scioglimento del matrimonio rato e consumato che, secondo loro, la Chiesa avrebbe da sempre messo in atto quando, per esempio, ammette a nuove nozze i vedovi e le vedove. Sull’esistenza di diritto o di fatto di quest’ultima potestà, è bene
notarlo subito, non è stata addotta alcuna prova storica, biblica, teologica o canonistica e in realtà essa non è mai esistita né è stata mai esercitata; la complessità della materia e la sua
notevole incidenza sulla vita dei fedeli richiedono tuttavia alcuni chiarimenti.
Come fu precisato da Pio XI, richiamandosi ad una multisecolare tradizione dottrinale, l’indissolubilità del matrimonio, “quantunque non competa a ciascun matrimonio con la stessa
misura di perfezione, compete nondimeno a tutti i veri matrimoni”, anche quando la ragione di sacramento possa andare disgiunta dal matrimonio, come accade tra i non battezzati. Pio
XI aggiunse che se l’indissolubilità “sembra patire qualche eccezione, sebbene rarissima, come in certi matrimoni naturali che siano contratti tra infedeli solamente, o, se tra fedeli, che
siano bensì ratificati ma non ancora consumati, una siffatta eccezione non dipende da volontà di uomini né di qualsiasi potere meramente umano, ma dal diritto divino, di cui unica custode e interprete è la Chiesa di Cristo” (1).
Infatti, lo scioglimento del matrimonio tra non battezzati in favore della fede è esplicitamente e formalmente fondato sull’insegnamento di San Paolo (cfr 1 Cor 7, 12-16). I particolari problemi emersi durante la prima attività missionaria della Chiesa nel continente americano portarono i Romani Pontefici, “sul fondamento della Nostra sicura conoscenza e nella pienezza della potestà apostolica” (2) ad applicare, secondo alcune spiegazioni, l’insegnamento paolino sul “favor fidei” anche nella forma oggi tipificata dal CIC cann. 1148-1149 e, secondo altre, ad esercitare in modo nuovo la potestà vicaria sul matrimonio non sacramentale che la Chiesa già da molto tempo era conscia di possedere.
La stessa certezza e unanimità con cui la Chiesa ha applicato il “privilegio paolino” caratterizza la sua multisecolare convinzione di non avere potestà alcuna di sciogliere il matrimonio consumato tra battezzati (“matrimonio rato e consumato”). Quanto espresso oggi nel CIC can. 1141 – “Il matrimonio rato e consumato non può essere sciolto da nessuna potestà
umana e per nessuna causa, eccetto la morte” – non è soltanto un principio canonistico con il quale la Chiesa è stata sempre coerente lungo i secoli, anche di fronte a fortissime pressioni
da parte dei potenti, ma rappresenta un principio dottrinale più volte ribadito dal Magistero della Chiesa. Fra tanti esempi, può essere qui richiamato l’insegnamento di Pio XI, secondo il
quale la potestà della Chiesa “non potrà mai essere esercitata per nessun motivo nei confronti del matrimonio cristiano rato e consumato. In questo infatti, come il vincolo coniugale ottiene la piena perfezione, così risplende per volontà di Dio la massima fermezza e indissolubilità, tale da non potersi sciogliere per nessuna autorità umana” (3).
Che nell’espressione “nessuna potestà umana” sia inclusa anche la potestà vicaria del Successore di Pietro risulta chiaro sia dal contesto sia dagli ancora più espliciti insegnamenti di altri Romani Pontefici, prima e dopo Pio XI. Così, per esempio, Pio IX scrisse ai Vescovi della provincia di Fagaras e Alba Iulia (Romania): “Questa fermezza perpetua ed indissolubile del legame matrimoniale non ha la sua origine nella disciplina ecclesiastica. Per il matrimonio consumato essa è fondata saldamente sul diritto divino e sul diritto naturale: un tale matrimonio, per nessun motivo, non può mai essere sciolto, neppure dal Sommo Pontefice in persona, e neppure nel caso che uno dei coniugi abbia violata la fedeltà coniugale con un adulterio” (4). Dello stesso tenore fu l’insegnamento di Pio XII: “Il vincolo del matrimonio cristiano è così forte, che, se esso ha raggiunto la sua piena stabilità con l’uso dei diritti coniugali, nessuna potestà al mondo, nemmeno la Nostra, quella cioè del Vicario di Cristo, vale a rescinderlo” (5).
Nel Catechismo della Chiesa Cattolica, che è stato riconosciuto da Giovanni Paolo II “come una norma sicura per l’insegnamento della fede” (6), si riassume la dottrina al riguardo
con le seguenti parole: “Il vincolo matrimoniale è dunque stabilito da Dio stesso, così che il matrimonio concluso e consumato tra battezzati non può mai essere sciolto. Questo vincolo, che
risulta dall’atto umano libero degli sposi e dalla consumazione del matrimonio, è una realtà ormai irrevocabile e dà origine ad un’alleanza garantita dalla fedeltà di Dio. Non è in potere
della Chiesa pronunciarsi contro questa disposizione della sapienza divina (cfr CIC can. 1141)” (7).
L’intima ragione dell’assoluta indissolubilità del matrimonio cristiano, che si aggiunge all’indissolubilità naturale di ogni vero matrimonio, consiste nella “mistica significazione del
matrimonio cristiano, che si verifica con piena perfezione nel matrimonio consumato tra fedeli. Il matrimonio dei cristiani, infatti, secondo la testimonianza dell’Apostolo … , rappresenta quell’unione perfettissima che sussiste fra Cristo e la Chiesa: “Questo sacramento è grande; io però parlo riguardo a Cristo e alla Chiesa” (Ef 5, 32); la quale unione per nessuna separazione non potrà mai sciogliersi, finché vivrà Cristo e la Chiesa per Lui” (8).
La delicatezza e complessità della morale e del diritto matrimoniale, nonché l’emergere di sempre nuove situazioni legate all’attività missionaria e all’evoluzione del costume, ha provocato una lunga e attenta riflessione della Chiesa sull’estensione della potestà vicaria del Romano Pontefice. Le distinzioni tra matrimonio legittimo e matrimonio rato, tra matrimonio rato e matrimonio consumato, e la relativamente più recente distinzione tra indissolubilità intrinseca ed indissolubilità estrinseca sono frutto di tale riflessione. La Chiesa è giunta alla certezza, e lo ha ripetutamente affermato, che la propria potestà ha il suo limite invalicabile nel matrimonio rato e consumato, il quale è pertanto intrinsecamente ed estrinsecamente indissolubile. Non è questa la sede per affrontare la questione specialistica della qualifica teologica di tale affermazione. In ogni caso si può dire con certezza che non si tratta soltanto di
una prassi disciplinare o di un semplice dato di fatto storico. Si è invece di fronte ad un insegnamento dottrinale della Chiesa, fondato sulla Sacra Scrittura e più volte riproposto esplicitamente e formalmente dal Magistero, da considerare quindi almeno come appartenente alla dottrina cattolica e come tale esso deve essere accolto, e con fermezza ritenuto.
C’è da notare infine che la vera causa dei disagi che oggi affliggono i fedeli in situazioni matrimoniali irregolari è la diffusione delle leggi civili divorziste e della cultura da cui esse traggono origine e che esse stesse contribuiscono a consolidare, rendendo sempre più difficile la realizzazione delle condizioni necessarie per una buona riuscita della vita coniugale. La Chiesa deve venire incontro ai fedeli che versano in tali difficoltà, ma per fedeltà alla Parola di Dio e per amore delle persone interessate non può fare proprie quelle proposte, pur ben intenzionate, che, invocando impropriamente la potestà vicaria del Romano Pontefice, non farebbero altro che aggirare l’indissolubilità intrinseca che il matrimonio cristiano possiede per diritto divino. Certamente “si tratta di riparare queste rovine, di sanare queste piaghe, di curare questi mali. Il cuore della Chiesa sanguina alla vista di indicibili angosce di tanti suoi figli, per venire loro in aiuto non risparmia alcuno sforzo, e spinge fino all’estremo limite la sua condiscendenza. Questo limite estremo trovasi solennemente formulato nel can. 1118 [del CIC/1917 che corrisponde al can. 1141 del CIC/1983]: “Matrimonium validum ratum et consummatum nulla humana potestate nullaque de causa, praeterquam morte, dissolvi potest” (9).
Il limite così posto nel disegno divino anche alla potestà del Sommo Pontefice è di fatto espressione della grandezza del mistero del matrimonio. Esso partecipa della definitività dell’amore di Dio per il suo popolo; e chi potrà separarci dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù?


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NOTE
1) Lett. enc. Casti connubii (31 dicembre 1930): DS 3711-3712.
2) Pio V, Cost. Romani Pontificis (2 agosto 1571): DS 1983.
3) Lett enc. Casti connubii (31 dicembre 1930): DS 3712.
4) Lett. Verbis exprimere (15 agosto 1859): Insegnamenti Pontifici, vol. I, Edizioni Paoline, Roma 1957, n. 103.
5) Allocuzione agli sposi novelli (22 aprile 1942): Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, vol. IV, Editrice Vaticana, p. 47.
6) Cost. Ap. Fidei depositum (11 ottobre 1992): AAS 86 (1994) 117.
7) Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1640.
8) Lett. enc. Casti connubii (31 dicembre 1930): DS 3712.
9) Pio XII, Allocuzione ai Prelati della Rota Romana (6 ottobre 1946): AAS 38 (1946) 396.