Nota ai Decreti dottrinali sul REV.DO SAC. ANTONIO ROSMINI SERBATI

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1 luglio 2001
“Oltre a questi fattori determinati dalla contingenza storico-culturale ed ecclesiale del tempo, si deve comunque riconoscere che nel sistema rosminiano si trovano concetti ed espressioni a volte ambigui ed equivoci, che esigono un’interpretazione attenta e che si possono chiarire soltanto alla luce del contesto più generale dell’opera dell’Autore. L’ambiguità, l’equivocità e la difficile comprensione di alcune espressioni e categorie, presenti nelle proposizioni condannate, spiegano tra l’altro le interpretazioni in chiave idealistica, ontologistica e soggettivistica, che furono date da pensatori non cattolici, dalle quali il Decreto Post obitum oggettivamente mette in guardia”.

 


NOTA sul valore dei Decreti dottrinali concernenti il pensiero e le opere del
REV.DO SAC. ANTONIO ROSMINI SERBATI


1. Il Magistero della Chiesa, che ha il dovere di promuovere e custodire la dottrina della fede e preservarla dalle ricorrenti insidie provenienti da talune correnti di pensiero e da determinate prassi, a più riprese si è interessato nel secolo XIX ai risultati del lavoro intellettuale del Rev.do Sacerdote Antonio Rosmini Serbati (1797-1855), ponendo all’Indice due sue opere nel 1849, dimettendo poi dall’esame, con Decreto dottrinale della Sacra Congregazione dell’Indice, l’opera omnia nel 1854, e, successivamente, condannando nel 1887 quaranta proposizioni, tratte da opere prevalentemente postume e da altre opere edite in vita, col Decreto dottrinale, denominato Post obitum, della Sacra Congregazione del Sant’Uffizio (Denz. 3201-3241).



2. Una lettura approssimativa e superficiale di questi diversi interventi potrebbe far pensare ad una intrinseca e oggettiva contraddizione da parte del Magistero nell’interpretare i contenuti del pensiero rosminiano e nel valutarli di fronte al popolo di Dio. Tuttavia una lettura attenta non soltanto dei testi, bensì anche del contesto e della situazione in cui sono stati promulgati, aiuta a cogliere, pur nel necessario sviluppo, una considerazione insieme vigile e coerente, mirata sempre e comunque alla custodia della fede cattolica e determinata a non consentire sue interpretazioni fuorvianti o riduttive. In questa stessa linea si colloca la presente Nota sul valore dottrinale dei suddetti Decreti.



3. Il Decreto del 1854, con cui vennero dimesse le opere del Rosmini, attesta il riconoscimento dell’ortodossia del suo pensiero e delle sue intenzioni dichiarate, allorché rispondendo alla messa all’indice delle sue due opere nel 1849, egli scrisse al Beato Pio IX: «Io voglio appoggiarmi in tutto sull’autorità della Chiesa, e voglio che tutto il mondo sappia che a questa sola autorità io aderisco».[1] Il Decreto stesso tuttavia non ha inteso significare l’adozione da parte del Magistero del sistema di pensiero rosminiano come strumento filosofico-teologico di mediazione della dottrina cristiana e nemmeno intende esprimere alcun parere circa la plausibilità speculativa e teoretica delle posizioni dell’Autore.



4. Le vicende successive alla morte del Roveretano richiesero una presa di distanza dal suo sistema di pensiero, e in particolare da alcuni enunciati di esso. È necessario illuminare anzitutto i principali fattori di ordine storico-culturale che influirono su tale presa di distanza culminata con la condanna delle “Quaranta Proposizioni” del Decreto Post obitum del 1887.



Un primo fattore si riferisce al progetto di rinnovamento degli studi ecclesiastici promosso dall’Enciclica Aeterni Patris (1879) di Leone XIII, nella linea della fedeltà al pensiero di S. Tommaso d’Aquino. La necessità ravvisata dal Magistero pontificio di fornire uno strumento filosofico e teoretico, individuato nel tomismo, atto a garantire l’unità degli studi ecclesiastici soprattutto nella formazione dei sacerdoti nei Seminari e nelle Facoltà teologiche, contro il rischio dell’eclettismo filosofico, pose le premesse per un giudizio negativo nei confronti di una posizione filosofica e speculativa, quale quella rosminiana, che risultava diversa per linguaggio e per apparato concettuale dalla elaborazione filosofica e teologica di S. Tommaso d’Aquino.



Un secondo fattore da tenere presente è che le proposizioni condannate sono estratte in massima parte da opere postume dell’Autore, la cui pubblicazione risulta priva di qualsiasi apparato critico atto a spiegare il senso preciso delle espressioni e dei concetti adoperati in esse. Ciò favorì un’interpretazione in senso eterodosso del pensiero rosminiano, anche a motivo della difficoltà oggettiva di interpretarne le categorie, soprattutto se lette nella prospettiva neotomista.



5. Oltre a questi fattori determinati dalla contingenza storico-culturale ed ecclesiale del tempo, si deve comunque riconoscere che nel sistema rosminiano si trovano concetti ed espressioni a volte ambigui ed equivoci, che esigono un’interpretazione attenta e che si possono chiarire soltanto alla luce del contesto più generale dell’opera dell’Autore. L’ambiguità, l’equivocità e la difficile comprensione di alcune espressioni e categorie, presenti nelle proposizioni condannate, spiegano tra l’altro le interpretazioni in chiave idealistica, ontologistica e soggettivistica, che furono date da pensatori non cattolici, dalle quali il Decreto Post obitum oggettivamente mette in guardia. Il rispetto della verità storica esige inoltre che venga sottolineato e confermato il ruolo importante svolto dal Decreto di condanna delle “Quaranta Proposizioni”, in quanto non solo esso ha espresso le reali preoccupazioni del Magistero contro errate e devianti interpretazioni del pensiero rosminiano, in contrasto con la fede cattolica, ma anche ha previsto quanto di fatto si è verificato nella recezione del rosminianesimo nei settori intellettuali della cultura filosofica laicista, segnata sia dall’idealismo trascendentale sia dall’idealismo logico e ontologico. La coerenza profonda del giudizio del Magistero nei suoi diversi interventi in materia è verificata dal fatto che lo stesso Decreto dottrinale Post obitum non si riferisce al giudizio sulla negazione formale di verità di fede da parte dell’Autore, ma piuttosto al fatto che il sistema filosofico-teologico del Rosmini era ritenuto insufficiente e inadeguato a custodire ed esporre alcune verità della dottrina cattolica, pur riconosciute e confessate dall’Autore stesso.



6. D’altra parte, si deve riconoscere che una diffusa, seria e rigorosa letteratura scientifica sul pensiero di Antonio Rosmini, espressa in campo cattolico da teologi e filosofi appartenenti a varie scuole di pensiero, ha mostrato che tali interpretazioni contrarie alla fede e alla dottrina cattolica non corrispondono in realtà all’autentica posizione del Roveretano.




7. La Congregazione per la Dottrina della Fede, a seguito di un approfondito esame dei due Decreti dottrinali, promulgati nel secolo XIX, e tenendo presenti i risultati emergenti dalla storiografia e dalla ricerca scientifica e teoretica degli ultimi decenni, è pervenuta alla seguente conclusione:



Si possono attualmente considerare ormai superati i motivi di preoccupazione e di difficoltà dottrinali e prudenziali, che hanno determinato la promulgazione del Decreto Post obitum di condanna delle “Quaranta Proposizioni” tratte dalle opere di Antonio Rosmini. E ciò a motivo del fatto che il senso delle proposizioni, così inteso e condannato dal medesimo Decreto, non appartiene in realtà all’autentica posizione di Rosmini, ma a possibili conclusioni della lettura delle sue opere. Resta tuttavia affidata al dibattito teoretico la questione della plausibilità o meno del sistema rosminiano stesso, della sua consistenza speculativa e delle teorie o ipotesi filosofiche e teologiche in esso espresse.


Nello stesso tempo rimane la validità oggettiva del Decreto Post obitum in rapporto al dettato delle proposizioni condannate, per chi le legge, al di fuori del contesto di pensiero rosminiano, in un’ottica idealista, ontologista e con un significato contrario alla fede e alla dottrina cattolica.



8. Del resto la stessa Lettera Enciclica di Giovanni Paolo II Fides et ratio, mentre annovera il Rosmini tra i pensatori più recenti nei quali si realizza un fecondo incontro tra sapere filosofico e Parola di Dio, aggiunge nello stesso tempo che con questa indicazione non si intende «avallare ogni aspetto del loro pensiero, ma solo proporre esempi significativi di un cammino di ricerca filosofica che ha tratto considerevoli vantaggi dal confronto con i dati della fede».[2]



9. Si deve altresì affermare che l’impresa speculativa e intellettuale di Antonio Rosmini, caratterizzata da grande audacia e coraggio, anche se non priva di una certa rischiosa arditezza, specialmente in alcune formulazioni, nel tentativo di offrire nuove opportunità alla dottrina cattolica in rapporto alle sfide del pensiero moderno, si è svolta in un orizzonte ascetico e spirituale, riconosciuto anche dai suoi più accaniti avversari, e ha trovato espressione nelle opere che hanno accompagnato la fondazione dell’Istituto della Carità e quella delle Suore della Divina Provvidenza.



Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nel corso dell’Udienza dell’8 giugno 2001, concessa al sottoscritto Cardinale Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha approvato questa Nota sul valore dei Decreti dottrinali concernenti il pensiero e le opere del Rev.do Sacerdote Antonio Rosmini Serbati, decisa nella Sessione Ordinaria, e ne ha ordinato la pubblicazione.



Roma, dalla sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 1° luglio 2001.



+ JOSEPH Card. RATZINGER


Prefetto






+ TARCISIO BERTONE, S.D.B.
Arcivescovo emerito di Vercelli
Segretario



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[1] ANTONIO ROSMINI, Lettera al Papa Pio IX, in: Epistolario completo, Casale Monferrato, tip. Pane 1892, vol. X, 541 (lett. 6341).


[2] GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Fides et ratio, n. 74, in: AAS, XCI, 1999 – I, 62.