Congresso Eucaristico 1997- Gli inviati del Principe Vladimiro

Proponiamo alcuni brani dell’intervento del cardinale Ratzinger al Congresso Eucaristico su “Eucaristia come genesi della missione”. «L’incarnazione non è un’idea filosofica, ma un evento storico, che proprio nella sua singolarità e verità è il punto di inserzione di Dio nella storia»

Un’antica leggenda sulle origini del cristianesimo in Russia narra che al Principe Vladimiro di Kiev, che era alla ricerca della vera religione per il suo popolo, si erano presentati l’uno dopo l’altro i rappresentanti dell’Islam provenienti dalla Bulgaria, i rappresentanti del giudaismo e gli inviati del Papa provenienti dalla Germania, che gli proponevano ciascuno la loro fede come quella giusta e la migliore di tutte. Il principe sarebbe però rimasto insoddisfatto di tutte queste proposte. La decisione sarebbe invece maturata quando i suoi inviati ritornarono da una solenne liturgia, alla quale avevano preso parte nella chiesa di Santa Sofia a Costantinopoli. Pieni di entusiasmo essi avrebbero riferito al principe: «E giungemmo presso i greci e siamo stati condotti laddove essi celebrano la liturgia per il loro Dio Non sappiamo se siamo stati in cielo o sulla terra abbiamo sperimentato che là Dio abita fra gli uomini». (…)
Ciò che convinse gli inviati del principe russo della verità della fede celebrata nella liturgia ortodossa, non fu una specie di argomentazione missionaria, le cui motivazioni sarebbero apparse loro più illuminanti di quelle delle altre religioni. Ciò che li colpì fu invece il mistero come tale, che proprio andando al di là della discussione fece brillare alla ragione la potenza della verità. (…)


Un evento storico
«Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo?» (1 Cor 6, 15-17). Il sogno della fusione di divinità e di umanità, dell’abbattimento dei limiti creaturali – questo sogno, che attraversa tutta la storia dell’umanità e si nasconde in variazioni profane anche nelle ideologie ateistiche del nostro tempo così come viene nuovamente sognato negli eccessi di esaltazione dei sensi di un mondo senza Dio – qui si compie. I tentativi prometeici dell’uomo, di superare lui stesso i limiti, di costruire con le sue forze la torre, nella quale egli possa ascendere ad essere divino, finiscono sempre necessariamente in crollo e delusione, anzi, disperazione. La fusione è divenuta possibile, perché Dio è disceso in Cristo, ha egli stesso assunto i limiti dell’essere umano, li ha sofferti ed ha aperto nell’infinito amore del crocifisso la porta dell’infinito. Il vero e più profondo fine della creazione e a sua volta dell’essere umano voluto dal creatore è proprio questo divenire una cosa sola, «Dio tutto in tutti». (…)
L’incarnazione non è però un qualsiasi principio filosofico generale, secondo cui lo spirituale dovrebbe sempre prendere corpo ed esprimersi in corrispondenza delle diverse situazioni. L’incarnazione non è un’idea filosofica, ma un evento storico, che proprio nella sua singolarità e verità è il punto di inserzione di Dio nella storia ed il luogo del nostro contatto con lui. Se la si considera, così come la Bibbia esige, non come principio, ma come evento, allora la conseguenza è esattamente il contrario: Dio ha legato se stesso ad un ben determinato punto storico con tutte le sue limitazioni e vuole che la sua umiltà divenga la nostra. (…)


Un culto «razionale»
Ascoltiamo a conclusione i due grandiosi testi della Lettera ai Romani, che ho citato in precedenza. In 12, 1 l’apostolo esorta i romani, ad offrire come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio» i loro corpi, cioè loro stessi, infatti questo è il loro «culto spirituale». (…)
Troviamo la stessa parola anche nel Canone Romano, laddove immediatamente prima della consacrazione si prega perché la nostra offerta divenga «rationabilis». (…)
Noi chiediamo che il Logos, Cristo, che è il vero sacrificio, assuma noi stessi nella sua offerta, ci «renda Logos», ci renda, come dice la parola, veramente ragionevoli, così che il suo sacrificio divenga il nostro e venga accolto da Dio come nostro, possa essere a noi imputato. (…)
Il Logos, che è il Figlio, ci rende figli nella comunione sacramentale vissuta. E se noi diventiamo sacrificio, quando noi stessi diventiamo secondo il Logos, questo non è un processo limitato allo spirito, che lascia il corpo dietro di sé come qualcosa di lontano da Dio. Il Logos stesso è divenuto corpo e si dà a noi nel suo corpo. Per questo noi veniamo invitati ad offrire i nostri corpi come culto secondo il Logos, cioè ad essere attirati in tutta la nostra esistenza corporea nella comunione con Cristo, nella comunione d’amore con Dio.
Che cosa ciò comporti Paolo lo dice nei versetti seguenti: ciò significa la nostra “metamorfosi”, la nostra trasformazione dallo schema di questo mondo, dalla condivisione di ciò che “si” pensa, dice e fa, all’inserimento nella volontà di Dio: così noi entriamo in ciò che è buono, gradito a Dio e perfetto. La trasformazione dei doni, che deve estendersi a noi – così il Canone Romano seguendo la Lettera ai Romani – deve diventare per noi stessi un processo di fusione trasformante: uscire dalla propria volontà angusta per entrare nell’unità con la volontà di Dio. La volontà propria tuttavia è in realtà sottomissione agli schemi di un’epoca e contrariamente all’apparenza è schiavitù; la volontà di Dio è verità e l’entrare in essa è perciò divenire liberi. Non mi sembra essere un caso che nei seguenti versetti 4 e 5 si dica che noi tutti dobbiamo diventare un corpo solo in Cristo. I corpi, cioè gli uomini viventi, diventano Eucaristia, non restano più gli uni accanto agli altri, ma divengono una cosa sola con e nell’unico corpo, e nell’unico Cristo vivente. (…)
L’esistenza cristiana, che non fosse inserimento nella Pasqua del Signore, che non fosse essa stessa Eucaristia, rimarrebbe nel moralismo del nostro agire. (…)


L’origine della missione
La forma ed il modo con cui Teresa di Lisieux è Patrona delle missioni, ci può aiutare a comprendere come ciò si deve intendere. Teresa non è mai andata in un Paese di missione, non ha mai potuto esercitare attività missionarie immediate. Ma ha compreso che la Chiesa ha un cuore, ed essa ha compreso che questo cuore è l’amore. Essa ha compreso che gli apostoli non annunciano più, i martiri non possono più versare il loro sangue, se questo cuore non arde più. Essa ha compreso che l’amore è tutto, che esso oltrepassa i tempi e gli spazi. Ed essa ha compreso che ella stessa, la piccola monaca, dietro le grate di un Carmelo in una città della provincia francese poteva essere presente ovunque, perché essa in quanto viveva di amore era con Cristo nel centro della Chiesa. Le difficoltà della missione negli ultimi trent’anni non sono forse da rinvenirsi proprio nel fatto che noi avevamo pensato solo ai problemi esteriori, ma avevamo quasi dimenticato che tutto questo agire deve continuamente essere nutrito da un più profondo centro? Questo centro, che Teresa chiama semplicemente «cuore» e «amore», è l’Eucaristia. Infatti essa non è solo la presenza permanente dell’amore divino umano di Gesù Cristo, che è sempre l’origine della Chiesa, senza il quale essa rischia di affondare, di essere schiacciata dalle porte della morte. Essa, in quanto presenza dell’amore divino umano di Cristo, è sempre anche il passaggio dall’uomo Gesù agli uomini, che divengono le sue «membra», essi stessi Eucaristia e così essi stessi «cuore» ed «amore» per la Chiesa.




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