Il caso Bulanyi

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1 settembre 1986
Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera della Congregaziopne a Gyorgy Bulányi in seguito all’esame di alcuni scritti (dattilografati) diffusi in Ungheria, in alcuni ambienti, specialmente nelle “comunità di base”.

 


Reverendo padre,


La Congregazione della fede, in conformità con il suo regolamento, ha esaminato nel giugno 1984 alcuni scritti (dattilografati) attribuiti a lei e diffusi in Ungheria, in alcuni ambienti, specialmente nelle “comunità di base”, e insieme anche altri documenti che hanno riferimento con le sue tesi.
L’esame ha messo in luce alcune tendenze dottrinali inaccettabili che possono portare alla contestazione di verità enunciate dall’autorità del magistero della chiesa. Le manifestazioni di queste tendenze dottrinali sono le seguenti: certe affermazioni equivoche circa la natura della rivelazione; un certo relativismo nella valutazione dei libri sacri del Nuovo Testamento; qualche interpretazione erronea circa il valore delle formule dogmatiche, il prestigio del magistero della chiesa e il rispetto della gerarchia ecclesiastica.
Allo scopo di chiarire il significato di questi equivoci dottrinali e di verificare se realmente essi possono essere a lei attribuiti, tenendo conto della sua particolare situazione, la nostra congregazione ha voluto offrirle la possibilità di un dialogo con un suo delegato che ha ricevuto la missione formale di incontrarsi personalmente con lei. L’incontro ha avuto luogo a Budapest, tra la fine di giugno e i primi di luglio 1985. Per l’occasione la congregazione ha preparato una lista di 12 punti contenenti delle citazioni desunte dal testi del concilio Vaticano Il e dal magistero della chiesa, riguardanti i dogmi fondamentali della fede che, nelle sue riflessioni, sembrano ambigue e confuse.
Il delegato della congregazione le ha esposto e spiegato questi testi del concilio Vaticano Il e poi le ha consegnato il documento affinché lei potesse avere la possibilità di riflettere sul suo contenuto prima di dare la sua risposta definitiva al riguardo.
Il 3 giugno 1985 lei ha sottoscritto i dogmi e accettato il loro contenuto con giuramento solenne: “Giuro di custodire fedelmente, integralmente e sinceramente questi dogmi, li difenderò da ogni violazione e non me ne allontanerò né nell’insegnamento né in qualunque altra maniera, né con le parole né per scritto” (cf. DS 3550).
Nel protocollo da lei firmato, lei ha aggiunto alcune espressioni di ringraziamento verso la Congregazione della fede e il suo prefetto, il card. Joseph Ratzinger, esprimendo la sua riconoscenza per aver avuto l’occasione di intrattenersi personalmente con il nostro delegato.
Malgrado il giuramento da lei sottoscritto, siamo costretti a costatare che esso non ha ancora dissipato tutti i dubbi circa il suo preciso atteggiamento e il suo totale rispetto per il magistero della chiesa. In effetti, nel corso dell’incontro con il nostro delegato, lei ha chiesto di aggiungere ai 12 punti desunti dal magistero e dal concilio Vaticano 11, un tredicesimo punto che lei ha composto utilizzando alcuni estratti della dichiarazione Dignitatis humanae riguardanti la libertà religiosa. L’aggiunta è la seguente: “L’uomo coglie e riconosce gli imperativi della legge divina attraverso la sua coscienza che egli è tenuto a seguire fedelmente… per arrivare a Dio. Non lo si deve quindi costringere ad agire contro la sua coscienza” (DH 3)… perciò è “tenuto ad obbedire soltanto alla sua coscienza” (DH 11; cf. 2.13).
Nel contesto delle sue affermazioni, il significato di queste parole, assolutamente giuste in se stesse, non è affatto chiaro. Evidentemente, nessuno vuole costringerla ad agire contro la sua coscienza; ma il documento da lei citato afferma pure: “I cristiani, nella formazione della loro coscienza devono considerare diligentemente la dottrina sacra e certa della chiesa. Infatti per volontà di Cristo la chiesa cattolica è maestra di verità, e il suo compito è di annunziare e di insegnare in modo autentico la verità che è Cristo, e nello stesso tempo di dichiarare e di confermare con la sua autorità i principi dell’ordine morale che scaturiscono dalla stessa natura umana” (DH 14). Quando la nostra congregazione le ha chiesto di accettare i testi del concilio, essa voleva darle l’occasione di esprimere chiaramente e pubblicamente se lei accetta o no i dogmi che l’uomo ha ricevuto una volta per tutte e, poiché rendono esplicite le tesi del mistero rivelato, non possono essere modificate da nessuna successiva disposizione ecclesiastica.
Ci sembra che la citazione di alcune parti, da lei arbitrariamente scelte, della “Dignitatis humanae”, sia da lei considerata come la condizione soggettiva per l’accettazione totale e oggettiva dell’insegnamento della chiesa.
Alla conclusione di questa prima fase della nostra verifica, sono quindi rimasti ancora alcuni dubbi circa il suo atteggiamento verso il magistero ecclesiastico.
Nel frattempo, è emerso un altro fatto che ci ha obbligati a intraprendere la seconda e ultima fase dell’inchiesta. Infatti, durante il suo incontro con il delegato della nostra congregazione (il 2.6.1985), lei ha riconosciuto di essere l’autore dello scritto intitolato La gerarchia ecclesiastica ed ha dichiarato: “Ho scritto quest’opera sulla base delle mie esperienze acquisite lungo 35 anni di attività svolta nelle piccole comunità e ritengo che la chiesa potrà avere, in futuro, una struttura diversa da quella attuale, sul modello specialmente delle comunità di base”.
L’approfondito esame di quest’opera ha, purtroppo, rivelato che essa contiene delle affermazioni erronee e pericolose, che si prestano a malintesi su importanti questioni della dottrina ecclesiastica autorevolmente enunciata: come, per esempio, l’interpretazione della rivelazione, la tradizione apostolica, l’organizzazione gerarchica della chiesa, il ministero dei vescovi e la netta distinzione fra presbiteri e fedeli laici.
Particolarmente pericolosa ci sembra la sua posizione circa 8 la struttura ecclesiastica della chiesa e l’assunzione del potere sacerdotale da parte delle comunità religiose.
Perciò la nostra congregazione, nella sua lettera del 31.1.1986, le ha segnalato le sue riserve su questo punto e lei ha risposto il 28 marzo con una lunga lettera.
La nostra congregazione ha studiato molto attentamente 8 questa lettera in cui lei, riferendosi al “colpi” subiti dopo la seconda guerra mondiale dalla chiesa ungherese, narra la storia delle sue sofferenze, le sue esperienze di pastore e le sue riflessioni teologiche. Poi lei critica severamente il lavoro e la prassi attuale del nostro dicastero. Lei giudica l’analisi della sua opera La gerarchia ecclesiastica senza fondamento (p. 40) e priva di serietà scientifica (p. 40). Lei aggiunge che forse i punti messi in discussione sono delle teorie non ancora definite e, quindi, “quaestiones disputatae” sulle quali non si dovrebbe esigere ritrattazioni (p. 52).


Per quanto riguarda le obiezioni fatte alle sue teorie, lei scrive di non avere nulla contro la tradizione apostolica (p. 53), ma dichiara di non aver trovato finora fra gli storici nessuna prova sufficientemente convincente che, ai tempi apostolici, qualcuno dei dodici apostoli abbia presieduto a tutti i sacramenti. Lei osserva che è possibile immaginare un’altra forma di tradizione apostolica e, cioè, che in quei tempi i responsabili eletti dalle comunità avrebbero potuto ricevere dagli apostoli l’eredità di Gesù in maniera differente (p. 52).
Inoltre, lei scrive (p. 54) che la sua opera non nega la differenza che esiste attualmente fra presbiteri e fedeli laici; differenza che consiste nel fatto che solo i presbiteri e non i laici, hanno il diritto di celebrare la messa e di amministrare i sacramenti. Lei precisa: “Anche nei miei sogni sull’ordine ecclesiastico io non elimino questa linea di netta demarcazione”. Successivamente lei sostiene di essere convinto della necessità, all’interno della chiesa, della presenza, da una parte, di discepoli che conducono gli altri e, dall’altra, di discepoli che, per il momento, sono solo guidati. Essi, tuttavia, hanno la vocazione a salire al primo gruppo e, per conseguenza, ad essere presentati ai vescovi per avere l’imposizione delle mani.
Più avanti, a pagina 55, lei aggiunge ancora che “nessuno ha il diritto di celebrare la messa, se noti ha ricevuto l’imposizione delle mani episcopali”, e che anche la sua comunità “segue questa regola”.
Infine, terminando il suo voluminoso rapporto, lei precisa: “alla vostra domanda di ritrattare le mie dichiarazioni scritte in La gerarchia ecclesiastica, la mia risposta definitiva non può essere che un “no” preciso”.
Per quanto riguarda la sua lettera, la congregazione della fede, desidera ricordarle, innanzi tutto, che essa non ha il dovere di fare delle discussioni teologiche. In conformità con il suo compito di difendere e rafforzare la fede della chiesa, essa esamina la sua opera esclusivamente dal punto di vista dottrinale e si limita a indicare i punti che sono incompatibili con l’insegnamento autentico della chiesa.
Conseguentemente, essa non ha l’intenzione di discutere con lei la sua risposta definitiva né di sottoporre ad esame la spiegazione che lei dà del canone sesto del concilio di Calcedonia; spiegazione che, peraltro, appare priva di ogni fondamento storico. Similmente essa rifiuta la discussione su molti aspetti storici riguardanti l’evoluzione della “tradizione apostolica”.
La nostra congregazione si limita, quindi, unicamente ai punti di vista dottrinali, prende atto, da una parte, delle dichiarazioni della sua lettera, anche se, a conti fatti, la sua ideologia sembra poco chiara, e, d’altra parte, essa riafferma il suo parere secondo il quale l’opera intitolata “La gerarchia ecclesiastica”, diffusa fra i raggruppamenti suoi segnaci, contiene effettivamente delle idee che, così come sono presentate, si rivelano erronee, pericolose e tali che si prestano a false interpretazioni.
Infatti, se noi esaminiamo anche solo il tema centrale della sua opera, vi troviamo questo: anche se lei ammette che il concilio Vaticano II “determina per sempre la separazione in due parti del popolo di Dio, e questo costituisce il fondamento dell’ordine ecclesiastico attuale”, lei si augura, nella sua opera, di preparare l’avvenire e a questo scopo lei “desidera mettere in causa la gerarchia ecclesiastica attuale e i suoi fondamenti” (2.2).
In realtà, quando lei tratta della differenza fra i presbiteri e i non presbiteri, lei non fa altro che tracciare una linea di demarcazione “fra coloro che hanno raggiunto i vari gradi d’attuazione della vocazione sacerdotale universale in Cristo” (2.1.3). Lei sostiene, per esempio, che “colui che conduce una comunità è già prete, mentre colui che è ancora un membro di una comunità, senza aver creato lui stesso una comunità, non è ancora prete”.
In questa definizione di prete lei non fa alcun riferimento a quel potere particolare che è conferito al preti mediante l’imposizione delle mani fatta dai vescovi, successori degli apostoli.
Contrariamente a quanto afferma il concilio, la differenza tra il sacerdozio universale e il sacerdozio ministeriale sembra consistere unicamente in una differenza di grado e non di essenza.
Secondo quanto le ha ricordato la lettera della nostra congregazione, in data 31 gennaio del corrente anno, il magistero della chiesa si è pronunciato autorevolmente su queste questioni al concilio di Trento (cf. in particolare DS 1710, 1771, 1773, 1776) e al concilio Vaticano II (cf. specialmente LG 10.18-29; PO 2). Recentemente la nostra congregazione ha nuovamente riconfermato questo insegnamento nella sua lettera Sacerdotium ministeriale, indirizzata il 6.8.1983 ai vescovi della chiesa cattolica (cf. AAS 1983, 1001-1009).
Si deve ancora notare che la sua proposta circa l’ordinazione delle donne (cf. 2.2.1; 2.3) è contraria all’insegnamento tradizionale della chiesa, confermato dalla nostra congregazione nel testo Inter insigniores del 15.10.1976 (cf. AAS 1977, 98-116).
Ne consegue che, tenendo conto di queste dichiarazioni ufficiali, le questioni sopraccitate non possono assolutamente essere soggetto di liberi dibattiti teologici.
Con queste motivazioni, in conformità con l’affermazione espressa nella sua lettera in cui – a quanto ci sembra – lei non ha l’intenzione di introdurre innovazioni nell’insegnamento cattolico in materia di principi dogmatici autorevolmente stabiliti, la Congregazione della fede le chiede di esprimere pubblicamente, per il bene dei fedeli e specialmente di coloro che conoscono la sua opera, il suo attaccamento all’insegnamento della chiesa conforme al contenuto espresso nei documenti sopraccitati.
Il nostro dicastero, ad ogni modo, conferma la decisione di rendere pubblica la presente lettera e, se Dio vuole, anche la sua dichiarazione di accettazione dei dogmi espressi più sopra.
Nel caso in cui lei, come è auspicabile, dichiarerà pubblicamente la sua fedeltà al magistero della chiesa sulle questioni che abbiamo esposto, sarà rivista la sua situazione canonica.
La Congregazione della fede, inviandole la presente lettera, il cui contenuto esprime le decisioni prese nella sua riunione regolare e approvate dal santo padre, non dimentica le sue sofferenze subite nel servizio al Vangelo di Cristo e dei suoi fratelli. Così essa spera che lei, sacerdote e religioso, giunga ad accettare la verità della fede autentica della chiesa affinché la missione apostolica della chiesa non sia vana (cf. Gal 2,2).
La nostra congregazione attende da lei una risposta degna di un servitore del Vangelo e di un sacerdote della chiesa cattolica.


Vostro fratello in Cristo
card. JOSEPH RATZINGER, prefetto
Roma, 1. 9.1986.


+ A. BOVONE, segretario



CONGRÉGATION POUR LA DOCTRINE DE LA FOI, Lettre La Congrégation de la foi à Gyorgy Bulányi, 1er septembre 1986, prot. 64/82: testo ciclostilato francese.
Versione italiana: Regno-doc. 32(1987), 15, 476-477.


Dopo che l’episcopato ungherese, in data 9 giugno 1982, ha preso posizione contro alcune affermazioni contenute in numerosi scritti del p. György Bulányi osp, la Congregazione per la dottrina della fede ha esaminato tali scritti, invitando a più riprese l’autore a chiarire le sue affermazioni e ad aderire all’insegnamento della chiesa. Al rifiuto di p. Bulanyi, il card. Ratzinger ha autorizzato la pubblicazione della presente lettera del 1 settembre 1986. L’intero dossier, con la presentazione dell’arcivescovo LázIó Paskai, presidente della Conferenza episcopale ungherese, si può leggere in Regno-doc. 32(1987), 15. 475-477. Per i successivi sviluppi cf. Regno-att. 34(1989), 6, 127s.130.