Il fondamentalismo islamico

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Pubblichiamo questa riflessione presa dal volume “Una mirada a Europa: Iglesia y modernidad en la Europa de las revoluciones”, (http://www.rialp.com/ ) Rialp 1993. Traduzione di Totus tuus network – Ω Nessun diritto riservato – Riproduzione (anche parziale) raccomandata, anche senza citare la fonte.


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In riferimento a quel che si è iniziato a denominare “Mondo islamico” – il cui volto multiforme non può qui essere descritto nemmeno in modo approssimativo – voglio solo far riferimento in modo critico ad uno dei lemmi del dibattito contemporaneo, che si offre gustosamente come chiave generale per fare chiarezza su processi attuali: l’espressione “fondamentalismo”.
Se, innanzi tutto, ci accertiamo molto brevemente delle basi su cui poggia l’attuale rinascimento del mondo islamico, saltano agli occhi due cause.


In primo luogo, il rafforzamento economico e, con questo, anche politico e militare del mondo islamico, a partire dal significato che il petrolio ha assunto nella politica internazionale. Ma mentre in Occidente il rafforzamento economico ha portato ad un indebolimento della sostanza religiosa, il nuovo impulso economico nel mondo islamico si collega a una nuova coscienza religiosa, nella quale si coniugano in indissolubile unità la religione islamica, la cultura e la politica.
Questa nuova coscienza religiosa e gli atteggiamenti che nascono da essa vengono oggi qualificati in Occidente come fondamentalismo. Dal mio punto di vista, si sta trasponendo un concetto del protestantesimo nordamericano, in modo inadeguato, ad un mondo con caratteristiche completamente diverse, cosa che non contribuisce alla vera conoscenza delle circostanze. Il fondamentalismo è, nel suo significato originario, una corrente sorta nel protestantesimo nordamericano del secolo XIX, che prese posizione contro l’evoluzionismo e la critica biblica e che – assieme alla difesa dell’assoluta infallibilità della Scrittura – cercò di fornire un solido fondamento cristiano contro entrambi.
Esistono senza dubbio analogie verso questa posizione in altri universi spirituali, ma se si trasforma l’analogia in identità si incorre in una semplificazione erronea. Da detta formula si è estratta una chiave troppo semplificata, attraverso la quale si pretende di dividere il mondo in due metà, una buona e l’altra cattiva. La linea del preteso fondamentalismo si estende allora dal protestante al cattolico, fino al fondamentalismo islamico e a quello marxista. Qui la differenza di contenuti non conta nulla. E’ fondamentalista colui che ha sempre convinzioni ferme e per questa ragione agisce quale creatore di conflitti e come nemico del progresso. Sarebbero cose buone, al contrario, il dubbio, la lotta contro le antiche convinzioni e, assieme a ciò, tutti i movimenti moderni non dogmatici o anti dogmatici. Ma quando si prescinde dai contenuti a partire da uno schema classificatorio puramente formale, non si può interpretare realmente il mondo. A mio parere si dovrebbe mettere da parte l’espressione “fondamentalismo islamico” perché nasconde sotto una stessa etichetta processi molti diversi invece di chiarirli.


Si dovrebbe distinguere, secondo quanto mi sembra, il punto di partenza del nuovo risveglio islamico e le sue diverse forme.
Per quanto concerne il punto di partenza, mi sembra molto significativo che i primi sintomi della svolta in Iran siano stati gli attentati contro i cinema nordamericani. La “way of life” occidentale, con la sua permissività morale, è stata percepita come un attacco alla propria identità e alla dignità del proprio modo di vivere.


Il mondo cristiano aveva generato, nei momenti di maggior spiegamento del suo potere, almeno all’interno dei circoli colti del mondo islamico, un sentimento negativo in merito al proprio sottosviluppo e dubbi circa la propria identità. In questo modo è cresciuto il disprezzo per l’emarginazione del morale e del religioso nell’ambito puramente privato, in una configurazione della vita pubblica nella quale risultava valido soltanto l’agnosticismo religioso e morale. Il potere con cui tale stile di vita è stato imposto formalmente, soprattutto per mezzo dell’esportazione della cultura nordamericana – uno stile di vita che doveva sembrare come l’unico normale –, fu percepito ogni volta di più come un attacco contro quanto vi era di più profondo nella propria essenza. Il fatto che non sia combattuta ed attaccata l’atea Unione Sovietica, ma invece gli Stati Uniti d’America – tolleranti in materia religiosa e nello stesso tempo fortemente segnati dalla religione -, dipende da quello scontro tra una cultura moralmente agnostica ed un sistema di vita nel quale la nazione, la cultura, la morale e la religione apparivano come una totalità indivisibile.


Le configurazioni concrete di tale nuova autocoscienza [islamica, ndt] sono molto variegate. L’aggrapparsi fanaticamente alle tradizioni religiose si collega in molti sensi al fanatismo politico e militare, nel quale la religione è considerata apertamente come una via di potere terreno. La strumentalizzazione delle energie religiose in funzione della politica è senza dubbio qualcosa di molto vicino alla tradizione islamica.
In consonanza con ciò si è sviluppata, in relazione al fenomeno della resistenza palestinese, un’interpretazione rivoluzionaria dell’islam che imita la teologia cristiana della liberazione e che ha dato facilmente corso ad una mescolanza tra il terrorismo occidentale, ispirato dal marxismo, e quello islamico.
Quel che superficialmente viene chiamato “fondamentalismo islamico” si potrebbe collegare senza difficoltà alle idee socialiste sulla liberazione: l’islam viene presentato come la vera strada della lotta per la liberazione dei popoli oppressi. Roger Garaudy, per esempio, ha trovato in questa prospettiva il suo passaggio dal marxismo all’islam: egli vede in quest’ultimo il portatore di nuove forze rivoluzionarie contro il capitalismo dominante. In contrapposizione a ciò, un uomo di Stato fortemente segnato dalla religione come Re Hassam del Marocco, ha espresso da poco la sua profonda preoccupazione per il futuro dell’islam: un’interpretazione dell’islam che considera come suo nucleo l’abbandono a Dio è opposta a un’interpretazione politico-rivoluzionaria, nella quale la questione religiosa si trasforma in una componente di uno sciovinismo culturale e, con questo, è subordinata alla politica.


Non dovremmo avvicinarci con tanta leggerezza all’analisi di un fenomeno tanto complesso come questo. L’islam, così sicuro di sé, agisce da lontano sul Terzo Mondo come un qualcosa di più affascinante di un cristianesimo diviso con sé stesso.


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Codice: ZS05050520


Tratto da Zenit.org del /5/2005
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