Intervento al Sinodo dei Vescovi

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Sul munus docendi del vescovo

Vorrei parlare su nr. 100-110 dell¹Instrumentum laboris, cioè sul munus docendi affidato al Vescovo. L’Instrumentum laboris interpreta questo “munus” come servizio per il Vangelo, come servizio della speranza.


Infatti S. Paolo indica come distintivo dei credenti, che non sono “come gli altri, che non hanno speranza” (1 Thess 4,19). E indica anche il fondamento della speranza, ricordando ai suoi lettori del tempo “quando eravate senza Cristo…, senza speranza e senza Dio in questo mondo” (Eph 2,12). La speranza ha un volto, ha un nome: Gesù-Cristo, il Dio-con-noi. Un mondo senza Dio è un mondo senza speranza, e una cultura senza Dio porta nel suo nucleo la disperazione, diventa inevitabilmente cultura della morte. Nell’umanità di Cristo, Dio ha attirato a se il mondo, ha superato la distanza immensa tra finito ad infinito – il mondo, l’essere umano è in Dio stesso e perciò il male non può vincere in modo definitivo – siamo salvati. Un Dio senza l¹umanità di Cristo diventa lontano, quasi un¹idea astratta o l¹uomo io prende in mano e lo abusa come strumento dei propri egoismi, dei propri fanatismi. Essere al servizio della speranza vuoi dire: annunciare Dio, il Dio col volto umano, col volto di Cristo. La crisi della nostra cultura è fondata sull¹assenza di Dio e dobbiamo confessare, che anche la crisi della Chiesa risulta in buona parte da una diffusa marginalizzazione del tema di Dio: La Chiesa non raramente si occupa troppo di se stessa e non parla con la necessaria forza e gioia di Dio, di Gesù Cristo, mentre il mondo ha sete – non di conoscere i nostri problemi interni, ma il messaggio, che ha creato la Chiesa – il fùoco che Gesù ha portato sulla terra (Lc 12,50).


Messaggeri credibili dei Dio vivente possiamo esserlo soltanto, se questo fuoco è acceso in noi stessi. Solo se noi siamo divenuti contemporanei con Cristo e Cristo vive in noi, il Vangelo annunciato da noi mostra la presenza di Cristo oggi e tocca i cuori dei nostri contemporanei. Questo annuncio esige quindi innanzitutto una profonda relazione personale con Cristo, un incontro con Cristo nei mio oggi, ma anche un lavoro intellettuale di conoscenza più profonda della Scrittura, letta nella comunione della Chiesa, perché solo così possiamo conoscere e distinguere la voce del vero Pastore (Giov 10,5); esige infine il coraggio della verità e la disponibilità di soffrire per la verità, come dice 5. Paolo nella sua prima lettera: “Dopo aver prima sofferto e subito oltraggi a Filippi… abbiamo avuto il coraggio nel nostro Dio di annunziare il vangelo di Dio, in mezzo a molto lotte” (1 Thess 2,2). La parola “lotta” (agòn) si trova in quasi tutte le lettere di 5. Paolo, dalla prima fino all’ultima. Entrare nella successione apostolica implica l’entrare nella lotta per il Vangelo, la sofferenza per la Verità.


Nella nostra cultura agnostica ed atea il Vescovo, maestro della fede, deve incoraggiare tutto quanto c’è di buono e di positivo, deve aiutare le persone e gli ambienti in ricerca di Dio, deve accompagnare ed aiutare i sacerdoti ed i laici occupati nell’annuncio della parola di Dio, deve appoggiare e guidare con grande amore i deboli nella fede (Rom 14,1), ma deve anche smascherare senza paura le falsificazioni del Vangelo e della nostra speranza. Il discernimento degli spiriti, la diagnosi dei segni dei tempi appartiene alla sua missione. Il problema centrale del nostro momento mi sembra essere lo svuotamento della figura di Gesù Cristo. Si cominciacon la negazione del concepimento verginale di Gesù nel grembo della Vergine Maria, Si continua con la negazione della resurrezione corporale di Gesù lasciando il suo corpo alla corruzione (contro Atti 2,27ss) e trasformando la resurrezione in un avvenimento puramente spirituale – nonsi lascia speranza per il corpo, per la materia. Si continua col negare la consapevolezza di essere figlio di Dio nel Gesù della storia e gli si concede come autentiche solo le parole considerate possibili sulla bocca di un rabbino del suo tempo. Così cade anche l’istituzione dell’Eucaristia come impossibile per il Gesù storico e rimane solo una cena di congedo con una non definita espressione di speranza escatologica. Un Gesù così impoverito non può essere l’unico Salvatore e mediatore, non è il Dio-con-noi, ed alla fine Gesù va sostituito con l’idea dei “valori del regno”, che in realtà non ha un contenuto preciso e diventa una speranza senza Dio, una speranza vuota. Noi dobbiamo con chiarezza ritornare al Gesù dei Vangeli, poiché lui solo è anche il vero Gesù storico: Tu solo hai parole di vita eterna (cf:Giov 6,68).


Come ha detto il Cardinale Meisner, il vescovo deve avere anche il coraggio di decidere e di giudicare con autorità in questa lotta per il Vangelo. Se i Vescovi prendono in mano la loro missione di giudici in materia di fede e di dottrina, la così auspicata decentralizzazione si realizza automaticamente. E’ ovvio, che la Conferenza Episcopale deve aiutarlo tramite una buona Commissione dottrinale e con la sua unanimità nella lotta per la fede. Ma per la decisione del Vescovo non è necessaria la familiarità con tutte le sottigliezze della teologia moderna; il Vescovo non decide sulle questioni degli specialisti – decide sul riconoscimento della fede battesimale, fondamento di ogni teologia. E se qualche volta può essere giusto tollerare un male minore per la pace nella Chiesa, non dimentichiamo, che una pace pagata con la perdita della verità sarebbe una pace falsa, una pace vuota. La fede è il vero tesoro della Chiesa, la perla preziosa, per la quale il buon mercante offrì e tutto (Mt 13,45s) – pieno di gioia (13,44). Preghiamo il Signore, perché ci aiuti ad essere buoni mercanti, fedeli amministratori dei beni, che ci ha affidato (cf. Lc 12,42).