Professio Fidei

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29 giugno 1998
Nota dottrinale illustrativa della formula conclusiva della Professio Fidei
Fin dai suoi inizi la Chiesa ha professato la fede nel Signore crocifisso e risorto, raccogliendo in alcune formule i contenuti fondamentali del suo credere. L’evento centrale della morte e risurrezione del Signore Gesù…

 


NOTA ILLUSTRATIVA DOTTRINALE DELLA FORMULA CONCLUSIVA DELLA PROFESSIO FIDEI


Congregazione per la dottrina della fede
(29 giugno 1998)


1. Fin dai suoi inizi la Chiesa ha professato la fede nel Signore crocifisso e risorto, raccogliendo in alcune formule i contenuti fondamentali del suo credere. L’evento centrale della morte e risurrezione del Signore Gesù, espresso prima con formule semplici e in seguito con formule più compiute 1, ha permesso di dare vita a quella ininterrotta proclamazione di fede, in cui la Chiesa ha trasmesso sia quanto aveva ricevuto dalle labbra e dalle opere di Cristo, sia quanto aveva imparato «per suggerimento dello Spirito santo» 2.


Lo stesso Nuovo Testamento è testimone privilegiato della prima professione proclamata dai discepoli, immediatamente dopo gli avvenimenti di Pasqua: «Vi ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici»3.


2. Nel corso dei secoli, da questo nucleo immutabile che attesta Gesù Figlio di Dio e Signore, si sono sviluppati Simboli a testimonianza dell’unità della fede e della comunione delle Chiese. In essi si raccolgono le verità fondamentali che ogni credente è tenuto a conoscere e professare. È per questo che prima di ricevere il Battesimo, il catecumeno deve emettere la sua professione di fede. Anche i Padri radunati nei concili, venendo incontro alle diverse esigenze storiche che richiedevano di presentare più compiutamente le verità di fede o di difenderne l’ortodossia, hanno formulato nuovi Simboli che occupano fino ai nostri giorni «un posto specialissimo nella vita della Chiesa»4. La diversità di questi Simboli esprime la ricchezza dell’unica fede e nessuno di essi viene superato o vanificato dalla formulazione di una ulteriore professione di fede in corrispondenza a nuove situazioni storiche.


3. La promessa di Cristo Signore di donare lo Spirito santo, il quale «guiderà alla verità tutta intera»5, sostiene perennemente il cammino della Chiesa. E per questo che nel corso della sua storia alcune verità sono state definite come ormai acquisite per l’assistenza dello Spirito santo e sono pertanto tappe visibili del compimento della promessa originaria. Altre verità, comunque, devono essere ancora più profondamente comprese, prima di poter giungere al pieno possesso di quanto Dio, nel suo mistero di amore, ha voluto rivelare agli uomini per la loro salvezza6.
Nella sua cura pastorale, anche di recente la Chiesa ha creduto opportuno esprimere in maniera più esplicita la fede di sempre. Ad alcuni fedeli, inoltre, chiamati ad assumere particolari uffici nella comunità a nome della Chiesa, è stato fatto obbligo di emettere pubblicamente la professione di fede secondo la formula approvata dalla Sede Apostolica7.


4. Questa nuova formula della Professio fidei, che ripropone il Simbolo niceno-costantinopolitano, si conclude con l’aggiunta di tre proposizioni o commi, che hanno lo scopo di meglio distingue re l’ordine delle verità a cui il credente aderisce Merita di essere esplicitata la coerente spiegazione di questi commi, perché il loro significato originario dato dal magistero della Chiesa sia ben capito, recepito e conservato in modo integro.


Nell’accezione odierna si sono venuti a condensare intorno al termine «Chiesa» diversi contenuti che, pur veri e coerenti, hanno bisogno tuttavia di essere precisati nel momento in cui si fa riferimento a funzioni specifiche e proprie dei soggetti che in essa operano. A tal proposito, è chiaro che sulle questioni di fede o di morale il soggetto unico abilitato a svolgere l’ufficio di insegnare con autorità vincolante per i fedeli è il Sommo Pontefice e il Collegio dei Vescovi in comunione con lui8. I Vescovi infatti sono «dottori autentici» della fede, «cioè rivestiti dell’autorità di Cristo»9, poiché per divina istituzione sono succeduti agli Apostoli «nel magistero e nel governo pastorale»: essi esercitano insieme con il Romano Pontefice la suprema e piena potestà su tutta la Chiesa, sebbene questa potestà non possa essere esercitata se non consenziente il Romano Pontefice10.


5. Con la formula del primo comma: «Credo pure con ferma fede tutto ciò che è contenuto nella parola di Dio scritta o trasmessa e che la Chiesa, sia con giudizio solenne sia con magistero ordinario e universale, propone a credere come divinamente rivelato», si vuole affermare che l’oggetto insegnato è costituito da tutte quelle dottrine di fede divina e cattolica che la Chiesa propone come divinamente e formalmente rivelate e, come tali, irreformabili11.


Tali dottrine sono contenute nella parola di Dio scritta o trasmessa e vengono definite con un giudizio solenne come verità divinamente rivelate o dal Romano Pontefice quando parla «ex cathedra» o dal Collegio dei Vescovi radunato in concilio, oppure vengono infallibilmente proposte a credere dal magistero ordinario e universale.


Queste dottrine comportano da parte di tuffi i fedeli l’assenso di fede teologale. Per tale ragione chi ostinatamente le mettesse in dubbio o le dovesse negare, cadrebbe nella censura di eresia, come indicato dai rispettivi canoni dei Codici canonici12.


6. La seconda proposizione della Professio fidei afferma: «Fermamente accolgo e ritengo anche tutte e singole le verità circa la dottrina che riguarda la fede o i costumi proposte dalla Chiesa in modo definitivo». L’oggetto che viene insegnato con questa formula comprende tutte quelle dottrine attinenti al campo dogmatico o morale 13che sono necessarie per custodire ed esporre fedelmente il deposito della fede, sebbene non siano state proposte dal magistero della Chiesa come formalmente rivelate.


Tali dottrine possono essere definite in forma solenne dal Romano Pontefice quando parla «ex cathedra» o dal Collegio dei Vescovi radunato in concilio, oppure possono essere infallibilmente insegnate dal magistero ordinario e universale della Chiesa come «sententia definitive tenenda»14. Ogni credente, pertanto, è tenuto a prestare a queste verità il suo assenso fermo e definitivo, fondato sulla fede nell’assistenza dello Spirito santo al magistero della Chiesa, e sulla dottrina cattolica dell’infallibilità del magistero in queste materie15. Chi le negasse assumerebbe una posizione di rifiuto di verità della dottrina cattolica 16e pertanto non sarebbe in piena comunione con la Chiesa cattolica.


7. Le verità relative a questo secondo comma possono essere di natura diversa e rivestono quindi un carattere differente per il loro rapportarsi alla rivelazione. Esistono, infatti, verità che sono necessariamente connesse con la rivelazione in forza di un rapporto storico; mentre altre verità evidenziano una connessione logica, la quale esprime una tappa nella maturazione della conoscenza, che la Chiesa è chiamata a compiere, della stessa rivelazione. Il fatto che queste dottrine non siano proposte come formalmente rivelate, in quanto aggiungono al dato di fede elementi non rivelati o non ancora riconosciuti espressamente come tali, nulla toglie al loro carattere definitivo, che è richiesto almeno dal legame intrinseco con la verità rivelata. Inoltre non si può escludere che a un certo punto dello sviluppo dogmatico, l’intelligenza tanto delle realtà quanto delle parole del deposito della fede possa progredire nella vita della Chiesa e il magistero giunga a proclamare alcune di queste dottrine anche come dogmi di fede divina e cattolica.


8. Per quanto riguarda la natura dell’assenso dovuto alle verità proposte dalla Chiesa come divinamente rivelate (1º comma) o da ritenersi in modo definitivo (2º comma), è importante sottolineare che non vi è differenza circa il carattere pieno e irrevocabile dell’assenso, dovuto ai rispettivi insegnamenti. La differenza si riferisce alla virtù soprannaturale della fede: nel caso delle verità del 1º comma l’assenso è fondato direttamente sulla fede nell’autorità della parola di Dio (dottrine de fide credenda); nel caso delle verità del 2º comma, esso è fondato sulla fede nell’assistenza dello Spirito santo al magistero e sulla dottrina cattolica dell’infallibilità del magistero (dottrine de fide tenenda).


9. Il magistero della Chiesa, comunque, insegna una dottrina da credere come divinamente rivelata (1º comma) o da ritenere in maniera definitiva (2º comma), con un atto definitorio oppure non definitorio. Nel caso di un atto definitorio, viene definita solennemente una verità con un pronunciamento «ex cathedra» da parte del Romano Pontefice o con l’intervento di un concilio ecumenico. Nel caso di un atto non definitorio, viene insegnata infallibilmente una dottrina dal magistero ordinario e universale dei Vescovi sparsi per il mondo in comunione con il Successore di Pietro. Tale dottrina può essere confermata o riaffermata dal Romano Pontefice, anche senza ricorrere a una definizione solenne, dichiarando esplicitamente che essa appartiene all’insegnamento del magistero ordinario e universale come verità divinamente rivelata (1º comma) o come verità della dottrina cattolica (2º comma). Di conseguenza, quando su una dottrina non esiste un giudizio nella forma solenne di una definizione, ma questa dottrina, appartenente al patrimonio del depositum fidei, è insegnata dal magistero ordinario e universale – che include necessariamente quello del Papa -, essa allora è da intendersi come proposta infallibilmente17. La dichiarazione di conferma o riaffermazione da parte del Romano Pontefice in questo caso non è un nuovo atto di dogmatizzazione, ma l’attestazione formale di una verità già posseduta e infallibilmente trasmessa dalla Chiesa.


10. La terza proposizione della Professio fidei afferma: «Aderisco inoltre con religioso ossequio della volontà e dell’intelletto agli insegnamenti che il Romano Pontefice o il Collegio episcopale propongono quando esercitano il loro magistero autentico, sebbene non intendano proclamarli con atto definitivo».


A questo comma appartengono tutti gli insegnamenti -in materia di fede o morale – presentati come veri o almeno sicuri, anche se non sono stati definiti con giudizio solenne né proposti come definitivi dal magistero ordinario e universale. Tali insegnamenti sono comunque espressione autentica del magistero ordinario del Romano Pontefice o del Collegio Episcopale e richiedono, pertanto, l’ossequio religioso della volontà e dell’intelletto18. Sono proposti per raggiungere un’intelligenza più profonda della rivelazione, ovvero per richiamare la conformità di un insegnamento con le verità di fede, oppure infine per mettere in guardia contro concezioni incompatibili con queste stesse verità o contro opinioni pericolose che possono portare all’errore 19.


La proposizione contraria a tali dottrine può essere qualificata rispettivamente come erronea oppure, nel caso degli insegnamenti di ordine prudenziale, come temeraria o pericolosa e quindi «tuto doceri non potest».


11. Esemplificazioni. Senza alcuna intenzione di esaustività o completezza, si possono ricordare, a scopo meramente indicativo, alcuni esempi di dottrine relative ai tre commi sopra esposti20.


Alle verità del primo comma appartengono gli articoli di fede del Credo, i diversi dogmi cristologici21 e mariani22; la dottrina dell’istituzione dei sacramenti da parte di Cristo e la loro efficacia quanto alla grazia23; la dottrina della presenza reale e sostanziale di Cristo nell’Eucaristia24 e la natura sacrificale della celebrazione eucaristica25; la fondazione della Chiesa per volontà di Cristo26; la dottrina sul primato e sull’infallibilità del Romano Pontefice27; la dottrina sull’esistenza del peccato originale28; la dottrina sull’immortalità dell’anima spirituale e sulla retribuzione immediata dopo la morte29; l’assenza di errore nei testi sacri ispirati30; la dottrina circa la grave immoralità dell’uccisione diretta e volontaria di un essere umano innocente31.


Per quanto riguarda le verità del secondo comma, con riferimento a quelle connesse con la rivelazione per necessità logica, si può considerare, ad esempio, lo sviluppo della conoscenza della dottrina legata alla definizione dell’infallibilità del Romano Pontefice, prima della definizione dogmatica del concilio Vaticano I. Il primato del Successore di Pietro è stato sempre creduto come un dato rivelato, sebbene fino al Vaticano I fosse rimasta aperta la discussione se l’elaborazione concettuale sottesa ai termini «giurisdizione» e «infallibilità» fosse da considerarsi parte intrinseca della rivelazione o soltanto conseguenza razionale. Comunque, anche se il suo carattere di verità divinamente rivelata fu definito nel concilio Vaticano I, la dottrina sull’infallibilità e sul primato di giurisdizione del Romano Pontefice era riconosciuta come definitiva già nella fase precedente al concilio. La storia mostra pertanto con chiarezza che quanto fu assunto nella coscienza della Chiesa era considerato fin dagli inizi una dottrina vera e, successivamente, ritenuta come definitiva, ma solo nel passo finale della definizione del Vaticano I fu accolta anche come verità divinamente rivelata.


Per quanto concerne il più recente insegnamento circa la dottrina sulla ordinazione sacerdotale da riservarsi soltanto agli uomini, si deve osservare un processo similare. il Sommo Pontefice, pur non volendo procedere fino a una definizione dogmatica, ha inteso riaffermare, comunque, che tale dottrina è da ritenersi in modo definitivo32, in quanto, fondata sulla parola di Dio scritta, costantemente conservata e applicata nella Tradizione della Chiesa, è stata proposta infallibilmente dal magistero ordinario e universale33. Nulla toglie che, come l’esempio precedente può dimostrare, nel futuro la coscienza della Chiesa possa progredire fino a definire tale dottrina da credersi come divinamente rivelata.


Si può anche richiamare la dottrina circa l’illiceità della eutanasia, insegnata nell’Enciclica Evangelium vitae. Confermando che l’eutanasia è «una grave violazione della legge di Dio», il Papa dichiara che «tale dottrina è fondata sulla legge naturale e sulla parola di Dio scritta, è trasmessa dalla Tradizione della Chiesa e insegnata dal magistero ordinario e universale»34. Potrebbe sembrare che nella dottrina sull’eutanasia vi sia un elemento puramente razionale, dato che la Scrittura non sembra conoscerne il concetto. D’altra parte emerge in questo caso la mutua interrelazione tra l’ordine della fede e quello della ragione: la Scrittura infatti esclude con chiarezza ogni forma di autodisposizione dell’esistenza umana che è invece supposta nella prassi e nella teoria dell’eutanasia.


Altri esempi di dottrine morali insegnate come definitive dal magistero ordinario e universale della Chiesa sono: l’insegnamento sulla illiceità della prostituzione 35 e e sulla illiceità della fornicazione36.


Con riferimento alle verità connesse con la rivelazione per necessità storica, che sono da tenersi in modo definitivo, ma che non potranno essere dichiarate come divinamente rivelate, si possono indicare come esempi la legittimità dell’elezione del Sommo Pontefice o della celebrazione di un concilio ecumenico, le canonizzazioni dei santi (fatti dogmatici); la dichiarazione di Leone XIII nella Lettera apostolica Apostolicae curae sulla invalidità delle ordinazioni anglicane37…


Come esempi di dottrine appartenenti al terzo comma si possono indicare in generale gli insegnamenti proposti dal magistero autentico ordinario in modo non definitivo, che richiedono un grado di adesione differenziato, secondo la mente e la volontà manifestata, la quale si palesa specialmente sia dalla natura dei documenti, sia dal frequente riproporre la stessa dottrina, sia dal tenore della espressione verbale38.



12. Con i diversi Simboli di fede, il credente riconosce e attesta di professare la fede di tutta la Chiesa. E per questo motivo che, soprattutto nei Simboli più antichi, si esprime questa coscienza ecclesiale con la formula «”Noi crediamo”. Come insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica: «”Io credo” è la fede della Chiesa professata personalmente da ogni credente, soprattutto al momento del battesimo. “Noi crediamo” è la fede della Chiesa confessata dai Vescovi riuniti in concilio o, più generalmente, dall’assemblea liturgica dei credenti. “Io credo”: è anche la Chiesa, nostra Madre, che risponde a Dio con la sua stessa fede e che ci insegna a dire: “Io credo”, “Noi crediamo”»39.



In ogni professione di fede, la Chiesa verifica le diverse tappe cui è giunta nel suo cammino verso l’incontro definitivo con il Signore. Nessun contenuto viene superato dal trascorrere del tempo; tutto, invece, diventa patrimonio insostituibile attraverso il quale la fede di sempre, di tuffi e vissuta in ogni luogo, contempla l’azione perenne dello Spirito di Cristo Risorto che accompagna e vivifica la sua Chiesa fino a condurla nella pienezza della verità.



Roma, dalla Sede della congregazione per la Dottrina della Fede il 29 giugno 1998, solennità dei santi Pietro e Paolo, Apostoli.


+ JOSEPH Card. RATZINGER Prefetto


+ TARCISIO BERTONE SDB Arcivescovo emerito di Vercelli Segretario




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Indice documenti ufficiali
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NOTE

1 Le formule semplici professano, normalmente, il compimento messianico in Gesù di Nazaret; cfr., ad es., Mc 8,29; Mt 16,16; Lc 9,20: Gv 20,31, At 9,22. Le formule complesse, oltre alla risurrezione, confessano gli eventi principali della vita di Gesù e il loro significato salvifico; cfr., ad es., Mc 12, 35-36; At 2, 23-24; 1 Cor 15, 3-5; 1 Cor 16,22; Fil 2,7.10-11; Col 1,15-20; 1 Pt 3,19-22; Ap 22 20. Oltre alle formule di confessione di fede relative alla storia della salvezza e alla vicenda storica di Gesù di Nazaret culminata con la Pasqua, esistono nel Nuovo Testamento professioni di fede che riguardano l’essere stesso di Gesù, cfr. 1 Cor 12,3: “Gesù è il Signore”. In Rm 10,9 le due forme di confessione si trovano riunite insieme.



2 Cfr. Concilio ecumenico Vaticano II, Cost. dogm. Dei Verbum, 7.



3 1 Cor 15,3-5.




4 Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 193.


5 Gv16,13.


6 Cfr. Concilio ecumenico Vaticano II, Cost dogm. Dei Verbum, 11.


7Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Professione di fede e Giuramento di fedeltà, AAS 81 (1989), 104 106; Codice di Diritto Canonico, can. 833.


8 Cfr. Concilio ecumenico Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 25.


9Ivi, n.25.


10 Cfr. ivi, n. 22.


11 Cfr. DS 3074.


12 Cfr. Codice di Diritto Canonico, cann. 750 e 751; 1364, § 1; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, cann. 598; 1436, § 1.


13 Cfr. Paolo VI, Lett. enc. Humanae vitae, 4: AAS 60 (1968),483; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Veritatis splendor, 36-37: AAS 85 (1993), 1162-1163.


14 Cfr. Conc. ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 25.


15 Cfr. Concilio ecumenico Vaticano II, Cost. dogm. Dei Verbum 8 e 10; Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Mysterium Ecclesiae, 3: AAS 65 (1973), 400-401.


16 Cfr. Giovanni Paolo II, Motu proprio Ad tuendam fidem, del 18 maggio 1998.


17 Si consideri che l’insegnamento infallibile del magistero ordinario e universale non viene proposto soltanto con una dichiarazione esplicita di un dottrina da credersi o da ritenersi definitivamente, ma anche è espresso mediante una dottrina implicitamente contenuta in una prassi di fede della Chiesa, derivata dalla rivelazione o comunque necessaria per la salvezza eterna, e testimoniata dalla Tradizione ininterrotta: tale insegnamento infallibile risulta oggettivamente proposto dall’intero corpo episcopale, inteso in senso diacronico, e non solo necessariamente sincronico. Inoltre l’intenzione del magistero ordinario e universale di proporre una dottrina come definitiva non è generalmente legata a formulazioni tecniche di particolare solennità; è sufficiente che ciò sia chiaro dal tenore delle parole adoperate e dai loro contesti.


18 Cfr. Conc. ecum. Vat. Il, Cost. dogm. Lumen gentium, 25 Congregaz. per la Dottrina della Fede, Istruz. Donum veritatis, 23 AAS 82 (1990), 1559-1560.


19 Cfr. Congregaz. per la Dottrina della Fede, Istruz. Donum ueritatis, nn. 23 e 24: AAS 82 (1990), 1559-1561.


20 Cfr. Codice di Diritto Canonico, cann. 752; 1371; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, cann. 599,1436, §2.


21 Cfr. DS 301-302.


22 Cfr. DS 2803; 3903.


23 Cfr. DS 1601; 1606.


24 Cfr. DS 1636.



25 Cfr. DS 1740; 1743.


26 Cfr. DS 3050.


27 Cfr. DS 3059-3075.


28 Cfr. DS 1510-1515.


29 Cfr. DS 1000-1002.


30 Cfr. DS 3293; Concilio ecumenico Vaticano II, Cost dogm. Dei Verbum, 11.


31 Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Evangelium vitae, 57: AAS 87 (1995), 465


32 Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. ap. Ordinatio sacerdotalis, 4: AAS 86 (1994), 548.


33 Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Risposta al dubbio circa la dottrina della Lettera apostolica “Ordinatio sacerdotalis”: AAS 87 (1995), 1114.


34 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Euangelium vitve, 65: AAS 87 (1995), 477.


35 Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2355.



36 Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2353.


37 Cfr. DS 3315-3319.


38 Cfr. conc. ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 25; congregaz. per la Dottrina della Fede, Istruz. Donum veritatis, 17,23 e 24: AAS 82 (1990), 1557-1558, 1559-1561.


39 Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 167.