Sulle “risoluzioni” dei delegati per il “Dialogo per l’Austria”

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6 aprile 1999 
Osservazioni su alcune “risoluzioni” dell’Assemblea (di Salisburgo) dei delegati per il “Dialogo per l’Austria”


Morale sessuale, pastorale degli omosessuali, figura della coscienza, comunione eucaristica ai divorziati risposati e loro assunzione di compiti pastorali ufficiali nella comunità cristiana, ruolo decisionale dei consigli pastorali parrocchiali, diaconato femminile e ordinazione presbiterale di uomini sposati: questi gli ambiti verso cui si muovono le annotazioni critiche della Congregazione per la dottrina della fede.

 


CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE
Bemerkungen zu einigen “Vorschlatgen” der (Salzburger) Delegiertenversammlung
[Osservazioni su alcune “risoluzioni” dell’Assemblea (di Salisburgo)
dei delegati per il “Dialogo per l’Austria”]
6 aprile 1999
da sito Internet www.kathpress.co.at.


Dopo un attento esame, la Congregazione per la dottrina della fede è giunta alla conclusione che alcune risoluzioni dell’Assemblea dei delegati del “Dialogo per l’Austria”, tenuta a Salisburgo, sollevano problemi dottrinali (parte A) o non concordano con la disciplina della chiesa universale (parte B).


A. Problemi dottrinali
Diverse proposte dei gruppi 3,4 e 7 non concordano con i dati dottrinali o sono formulate in modo talmente equivoco da poter essere facilmente interpretate come in contraddizione con la dottrina della chiesa.


Gruppo 3, risoluzione 1
Nella prima risoluzione del gruppo 3, dopo aver dichiarato che il matrimonio cristiano sacramentale è “il nostro modello e il nostro ideale”, si dice: “Rispettiamo, accanto al matrimonio sacramentale, anche altre forme di comunità di vita diverse, nelle quali si realizzano l’amore, la responsabilità e la fedeltà…, il fatto che i giovani siano alla ricerca di un modo di vivere la sessualità adatto a loro, non ancora determinato dalle esigenze di un’unione a vita e di una procreazione responsabile a essa collegata” [Regno-doc. 21/1998, 678].
Queste considerazioni minano la dottrina della chiesa, secondo cui solo il matrimonio è il luogo della piena donazione sessuale. I rapporti sessuali prematrimoniali ed extra-matrimoniali sono stati sempre considerati dalla chiesa una mancanza grave contro la castità. La sessualità, “mediante la quale l’uomo e la donna si donano l’uno all’altra con gli atti propri ed esclusivi degli sposi, non è affatto qualcosa di puramente biologico, ma riguarda l’intimo nucleo della persona umana come tale. Essa si realizza in modo veramente umano, solo se è parte integrale dell’amore con cui l’uomo e la donna si impegnano totalmente l’uno verso l’altra fino alla morte. La donazione fisica totale sarebbe menzogna, se non fosse segno e frutto della donazione personale totale, nella quale tutta la persona, anche nella sua dimensione temporale, è presente” (Familiaris consortio, n. 11; cf. Persona humana, nn. 7.11-12; Catechismo della chiesa cattolica, nn. 2348-2350, 2353, 2396).


Gruppo 3, risoluzione 2
Nella risoluzione relativa alla questione della regolazione delle nascite si ricorda anzitutto giustamente la procreazione responsabile quale dovere degli sposi. Poi si afferma: “Spetta ai partner, considerate le direttive ecclesiali nel senso di una responsabile decisione di coscienza, scegliere i metodi di regolazione delle nascite più adatti nella loro situazione concreta” [Regno-doc. 21/1998, 679].
Quest’affermazione non concorda pienamente con la dottrina della chiesa sulla regolazione delle nascite. La contraccezione è un atto intrinsecamente cattivo (intrinsece malum) e non può quindi diventare buono mediante una decisione di coscienza. “Al linguaggio nativo che esprime la reciproca donazione totale dei coniugi, la contraccezione impone un linguaggio oggettivamente contraddittorio, quello cioè del non donarsi all’altro in totalità: ne deriva non soltanto il positivo rifiuto all’apertura alla vita, ma anche una falsificazione dell’inferiore verità dell’amore coniugale, chiamato a donarsi in totalità personale” (Familiaris consortio, n. 32; cf. Gaudium et spes, n. 51; Humanae vitae, n. 14; Catechismo della chiesa cattolica, nn.2370, 2399).
La suddetta formulazione tradisce inoltre un concetto di coscienza che è stato espressamente rigettato dal papa Giovanni Paolo II (cf. Veritatis splendor, nn. 54-64). Riguardo all’opinione secondo cui si dovrebbe distinguere fra l’ordinamento morale oggettivo e la norma della coscienza individuale. che deciderebbe di fatto, in ultima istanza, del bene e del male, il santo padre scrive: “Su questa base si pretende di fondare la legittimità di soluzioni cosiddette “pastorali” contrarie agli insegnamenti del magistero e di giustificare un’ermeneutica “creatrice”, secondo la quale la coscienza morale non sarebbe affatto obbligata, in tutti i casi, da un precetto negativo particolare. Non vi è chi non colga che con queste impostazioni si trova messa in questione l’identità stessa della coscienza morale di fronte alla libertà dell’uomo e alla legge di Dio” (Veritatis splendor, n. 56).


Gruppo 3, risoluzione 3
La risoluzione relativa alla pastorale delle persone omosessuali sottolinea giustamente che anche queste persone vanno trattate con rispetto e tatto, non vanno emarginate e vanno incoraggiate a partecipare alla vita della chiesa. Poi si dice: “Esse hanno, come le persone eterosessuali, lo stesso dovere morale di compiere nella loro vita la volontà di Dio, di accettare la loro peculiarità sessuale e di integrarla responsabilmente nel comportamento umano globale” [Regno-doc.21/1998,679].
Queste affermazioni sono ambigue e possono essere facilmente interpretate in un senso che è in contraddizione con la dottrina della chiesa. Per quanto le persone omosessuali vadano rispettate nella loro dignità di persone e per quanto si debba offrire loro assistenza pastorale, non si può tacere il fatto che le pratiche omosessuali offendono gravemente la castità.
“Appoggiandosi sulla sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni (cf. Gn 19,2-29; Rm 1,24-27; 1 Cor 6,10; 1 Tm 1,10), la tradizione ha sempre dichiarato che “gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati” (Persona humana, n. 8). Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati” (Catechismo della chiesa cattolica, n. 2357; cf. Persona humana, n. 8; Homosexualitatis problema, nn. 3-7; Catechismo della chiesa cattolica, n. 2396). Contrariamente a certe opinioni secondo cui l’omosessualità altro non sarebbe che una semplice variante della natura, bisogna ribadire che “la particolare inclinazione della persona omosessuale, benché non sia in sé peccato, costituisce tuttavia una tendenza, più o meno forte, verso un comportamento intrinsecamente cattivo dal punto di vista morale. Per questo motivo l’inclinazione stessa deve essere considerata come oggettivamente disordinata” (Homosexualitatis problema, n. 3; cf. Catechismo della chiesa cattolica, n. 2358).


Gruppo 4, risoluzione 1
Nella risoluzione relativa alla pastorale dei divorziati risposati si osserva, in sintonia con i relativi documenti del magistero, che queste persone non sono escluse dalla comunità ecclesiale e vanno trattate con comprensione e benevolenza. Poi si dice: “Si deve rispettare la responsabile decisione personale di coscienza degli interessati, dopo un’accurata valutazione – comprendente possibilmente un colloquio con un pastore -, di accostarsi alla comunione” [Regno-doc. 21/1998, 679].
È evidente che una tale richiesta non può essere accettata. “Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la legge di Dio. Perciò essi non possono accedere alla comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale situazione. Per lo stesso motivo non possono esercitare certe responsabilità ecclesiali. La riconciliazione mediante il sacramento della penitenza non può essere accordata se non a coloro che si sono pentiti di aver violato il segno dell’alleanza e della fedeltà a Cristo, e si sono impegnati a vivere in una completa continenza” (Catechismo della chiesa cattolica, n. 1650; cf. Familiaris consortio, n. 84; Congregazione per la dottrina della fede, Lettera ai vescovi detta chiesa cattolica circa la recezione della comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati, del 14 settembre 1994). In questa dolorosa questione non si ha a che fare con una faccenda meramente disciplinare che la chiesa potrebbe regolare anche diversamente, ma con una norma che deriva direttamente dall’indissolubilità del matrimonio.
Naturalmente, si dovrà fare ogni sforzo “perché venga compreso bene che non si tratta di nessuna discriminazione, ma soltanto di fedeltà assoluta alla volontà di Cristo che ci ha ridato e nuovamente affidato l’indissolubilità del matrimonio come dono del Creatore” (Lettera ai vescovi della chiesa cattolica circa la recezione della comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati, n. 10).


Gruppo 7, risoluzione 3
In questa risoluzione si chiede alla Conferenza episcopale austriaca di perorare con decisione l’introduzione del diaconato femminile permanente.
Su questa questione si devono ricordare le indicazioni contenute nel protocollo di dialogo (relativo all’incontro fra i vescovi austriaci e i funzionari della Congregazione per la dottrina della fede in occasione della visita ad limino del novembre 1998, Red.). Bisogna anche ricordare che il regolamento della chiesa, secondo il quale solo il battezzato di sesso maschile può validamente ricevere l’ordinazione (cf. Catechismo della chiesa cattolica, n. 1576; C/C can. 1024), comporta delle implicazioni di natura dottrinale.



B. Problemi disciplinari


Diverse proposte dell’Assemblea dei delegati vanno oltre l’ordinamento regolato dal diritto canonico: per esempio, la richiesta di “permettere ai divorziati risposati di collaborare nel consiglio pastorale parrocchiale e di fungere da padrini e testimoni” (Gruppo 4, risoluzione 1: Regno-doc. 21/1998, 679); la richiesta di “permettere ai sacerdoti ridotti allo stato laicale l’accesso a tutti i ministeri e a tutte le vocazioni ecclesiali accessibili ai laici” (Gruppo 4, risoluzione 3: Regno-doc. 21/1/1998, 679); la richiesta di “estendere i diritti di collaborazione del consiglio pastorale parrocchiale” (Gruppo 5, risoluzione 2: Regno-doc. 21/1998, 680); la raccomandazione ai vescovi di perorare “l’ammissione al sacerdozio di uomini sposati adatti e adeguatamente formati” (Gruppo 6, risoluzione 2: Regno-doc. 21/1998, 679).
In merito all’ordinazione dei cosiddetti “viri probati”, il santo padre ha già indirettamente risposto quando, nel suo discorso ai vescovi austriaci, ha chiesto loro di sottolineare l’identità del ministero sacerdotale e di promuovere una pastorale in cui possano fiorire le vocazioni (cf. nn. 8 e 9; cf. anche Pastores dabo vobis, n. 29).
Le altre richieste non possono essere decise in Austria, trattandosi di temi che riguardano la disciplina della chiesa universale e riservati quindi ai competenti organi della Santa Sede.